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L’Occidente attacca Gheddafi. È guerra

La guerra è iniziata. Alle 17.45 di ieri le agenzie hanno battuto la notizia del primo attacco sferrato da un caccia francese contro un blindato libico. E Tobruk subito ha festeggiato.

Ebbene, per quanto le condanne per il genocidio perpetrato da Muammar Gheddafi siano piovute da ogni dove, già si affaccia all’orizzonte la prima sferzata di disapprovazione per l’intervento deciso nel vertice tra Ue, Usa e Lega Araba. Non sfugge a nessuno la facilità con la quale la società civile tutta ha scaraventato – giustamente – la sua rabbia e la sua ripugnanza contro i crimini disumani commessi da Gheddafi e dai suoi sodali. Ma, come spesso avviene in questi casi, quando c’è poi da avanzare proposte per un’effettiva soluzione, i più cominciano a balbettare. E i restanti, tacciono. Prendiamo allora le distanze da quanti si profumano d’insipida retorica, perché a trovar qualcuno in grado di bollare i delitti di Gheddafi come deprecabili non si fa poi tanta fatica. Basta andare dal salumiere.

Né tantomeno c’è da farsi infinocchiare dai soliti panegirici dei turiferari dell’Occidente buono, soccorritore dei ribelli. È lampante la colpevole lentezza nel raggiungimento di un’unità d’intenti da parte dell’Onu, e questo lascia credere che vi sia stata la volontà a far sì che la situazione assumesse tali dimensioni. Sarebbe stato certamente più efficace sferrare un attacco a Gheddafi qualche settimana fa, senza aspettare che anche Bengasi, l’ultima roccaforte dei ribelli, fosse presa d’assedio. Un supporto ai ribelli nel momento in cui sembravano davvero in grado di insidiare il potere del Colonnello, dato per spacciato, sarebbe stato se non risolutivo certamente più incisivo. Tante sono le contraddizioni in cui è incappata la politica dell’Onu, come la diversa attenzione riservata a vicende analoghe a quella libica, in primis le rivolte represse nel sangue in Bahrein e in Yemen. Quindi, abbandoniamo le solite, pelose considerazioni per partito preso.

Sarebbe stato meglio, per noi italiani, trovarci ad affrontare questa difficile situazione internazionale con un’altra classe politica. Purtroppo ci ritroviamo questa, e ce la dobbiamo tenere. Non staremo ora a ricalcare la marea infinita di contraddizioni in cui essa è incappata, e che hanno inesorabilmente minato la nostra credibilità nel mondo. Abbiamo già condannato quel baciamano del buffone di Arcore, quel “non disturbiamolo”, quell’infelice trattato d’amicizia. E abbiamo già compreso quanto rilevanti siano gli interessi economici dell’Italia in Libia.

Ma, al netto di tutte queste oramai tardive scappatoie, resta da capire se la guerra appena cominciata sia giusta o meno. Non lo sappiamo, né lo sapremo mai, per il semplice motivo che le guerre non sono mai, fondamentalmente, giuste. Ma forse non è nemmeno d’utilità stabilirlo. Le guerre spesse andrebbero giudicate non tanto per il loro inizio, ma per il loro evolversi.

Intanto quel gradasso di Gheddafi fa la guerra all’Occidente a suon di minacce. E non la può fare, evidentemente, in altro modo. Quei pochi armamenti che si ritrova glieli abbiamo venduti noi, e con quelli pensa di poterci incutere paura. Le uniche armi di cui effettivamente dispone sono l’immigrazione e il terrorismo. E per quanto siano pericolose, non possono tenere in scacco il mondo mentre le sue truppe sfondano le porte delle case e trucidano chiunque vi sia dentro. Tuttavia il Colonnello, per quanto possa eccellere nell’improvvida pratica dell’assassinio degli inermi, adesso ha paura, e le confusionarie dichiarazioni del suo corpo diplomatico ne sono la prova.

La diplomazia internazionale ha, per l’ennesima volta, fallito. Non è stata nemmeno necessaria una dichiarazione ufficiale di guerra. Si è cominciato a bombardare tout court. Ora ci si appella ai principi della “non-ingerenza militare”, dell’ “autodeterminazione dei popoli”, principi – è bene chiarirlo – sacrosanti.  Ma cosa si può fare, in alternativa, per mettere fine al genocidio, a una guerra senza quartiere portata avanti da un pazzo? L’esperienza ci ha mostrato la goffa inutilità delle sanzioni economiche, così come la semplice attuazione di una no-fly zone rimane fine a se stessa, se non supportata da un intervento militare. Cosa avrebbe dovuto fare l’Onu, le cui responsabilità restano comunque gravi? Continuare a girarsi dall’altra parte? Perché due sole potevano essere le strade da battere: o lasciare che la situazione continuasse a degenerare fin quando Gheddafi non avesse fatto piazza pulita; oppure fare qualcosa di concreto.

Dando per scontate, e anche per buone, le prevedibili accuse che investiranno ‘l’imperialismo occidentale’, non ci è possibile tuttavia tornare indietro. È forse il caso di distaccarsi dal pacifismo cieco e religioso, e riconoscere che soluzioni diverse forse non ce n’erano. È altresì doveroso recedere da quella continua quanto oramai sterile autocommiserazione  per le colpe e i torti di cui si sono macchiati i nostri politici (rimandarla semmai a un altro momento), e proporre, noi per primi, strade alternative. Perché, come diceva Madame de Sevignè, è più facile riconoscere i propri torti che le proprie storture. E la più grande stortura di noi italiani non è tanto quella di salir sempre sul carro dei vincitori, quanto quella di non salire su alcun carro per paura che buchi una ruota.  

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