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L’Italia? Arma e addestra le forze armate straniere che arruolano bambini soldato

L’Italia ratifica le convenzioni a difesa dei diritti dell’infanzia ma intanto addestra e arma le forze armate straniere che reclutano bambini soldato. 

 

La partecipazione dei militari italiani in missioni all’estero a fianco di regimi che in violazione del diritto internazionale consentono l’arruolamento di minori nei reparti armati e la loro partecipazione in operazioni belliche è stata stigmatizzata dal rapporto 2022 sul monitoraggio dell’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, pubblicato da un network di cento associazioni (Agesci, Archivio disarmo, ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Caritas, Cittadinanzattiva, Legambiente, Unicef Italia, ecc.).

“L’Italia fornisce aiuti militari ai Paesi che utilizzano i minorenni: ad esempio in Somalia dove i rapporti del Segretario Generale ONU, da anni, denunciano che l’Esercito Somalo e la Polizia Nazionale Somala li arruolano e li utilizzano in combattimento”, si legge nel rapporto giunto alla 12^ edizione e che è stato presentato il 7 luglio alla presenza della ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. “Nonostante tali gravi denunce, le nostre Forze Armate partecipano alla missione dell’Unione Europea EUTM Somalia (European Union Training Mission), con lo scopo di contribuire alla costituzione e al rafforzamento dell’Esercito Somalo. In particolare, la missione, comandata da un generale italiano, comprende oltre un centinaio di soldati italiani e ha addestrato molti militari somali. Inoltre, i Carabinieri sono impegnati nell’ex colonia in una missione di addestramento delle forze di polizia (MIADIT). Il rispetto delle Convenzioni internazionali dovrebbe essere posto alla base delle relazioni fra i Paesi e, quindi, dovrebbe essere vietato ogni tipo di aiuto militare fino a quando il Governo di Mogadiscio non avrà posto fine all’utilizzo dei minorenni come soldati”.

Nel report su Bambini e conflitti armati, pubblicato il 6 maggio 2021, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha rilevato che nel 2020 si sono verificati in Somalia nel corso di attività belliche ben 4.714 gravi violazioni a danno di 3.810 minori (3.038 bambini e 772 bambine). In particolare l’ONU ha accertato il reclutamento e l’utilizzo in combattimento di 1.716 minori (1.655 bambini e 61 bambine), prioritariamente da parte dei gruppi ribelli di Al-Shabaab (1.407 minori), ma anche da parte delle forze militari governative, compresi la forza di polizia somala (101), l’esercito nazionale (62) e la National Intelligence and Security Agency (5) e dei reparti armati e di polizia regionali (Jubaland, Galmudug, Puntland). “I minori sono stati utilizzati in ruolo di supporto o direttamente in azioni di combattimento”, ha denunciato il Segretario generale delle Nazioni Unite. “Abbiamo attribuito la morte o gravi mutilazioni di bambine e bambini ad Al-Shabaab (329 casi), alle forze armate e di sicurezza del governo somalo (127) e alle unità regionali (77). Siamo inoltre preoccupati per il crescente livello della violenza sessuale contro i minori, in particolare per i casi attribuiti alle forze di difesa federale e della polizia somale. Circa 406 minori (6 ragazzi e 400 ragazze) sono stati violentati e sono stati vittime di altre forme di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza governative”.

Ma la Somalia non è l’unico paese nero con cui stanno collaborando operativamente le forze armate italiane. “Un analogo discorso va fatto per il Mali, in cui è presente una missione militare italiana (Task Force Takuba), nonostante il Segretario Generale ONU abbia denunciato l’utilizzo di minorenni da parte dell’esercito di Bamako”, scrive il Gruppo di lavoro per il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Una missione assai controversa, quella in Mali, che dovrebbe inesorabilmente concludersi nelle prossime settimane dopo la decisione della Francia, paese leader di Takuba, di abbandonare il paese. “Undici minori sono stati arrestati dalle forze armate e di polizia del Mali e da quelle francesi dell’Operation Barkhane perché accusati di associazione con i gruppi armati ribelli”, rileva il report su Bambini e conflitti armati del Segretario generale delle Nazioni Unite. “Essi sono stati rilasciati dopo periodi di detenzione durati fino a 21 giorni, eccetto per un ragazzo che è stato detenuto dall’autorità nazionale per cinque mesi. Dei 17 minori tenuti in detenzione dal governo fino al 2019, 15 rimangono in carcere alla data del dicembre 2020”.

Tragico il bilancio delle giovani vittime, principalmente nella regione di Mopti, alla confluenza del Bani con il Niger: 87 i bambini assassinati e 86 quelli gravemente feriti nel corso di attacchi armati ai villaggi o a seguito dell’esplosione di ordigni improvvisati o residuati bellici. “Sette di questi sanguinosi eventi sono stati attribuiti alle forze armate del Mali e il grave ferimento di un minore all’Operation Barkhane”, aggiunge il Segretario generale ONU. “Dodici ragazze sono state vittime di violenza sessuale: in dieci casi non è stato possibile accertare gli autori, mentre per gli altri due si è trattato di appartenenti alle forze armate maliane”. Pur esprimendo apprezzamento per la decisione del governo di Bamako di proibire ai comandanti militari l’impiego di minori di 15 anni di età e ordinare nel 2020 il “rilascio” di 23 bambini soldato reclutati, il Segretario generale ha richiesto alle autorità di “prendere le misure necessarie per impedire e prevenire la violenza sessuale contro i minori, continuare a rafforzare i sistemi per impedire l’arruolamento e l’impiego dei bambini da parte dei militari, e rimettere in libertà i bambini detenuti per odierna o passata associazione con i gruppi armati”.

Anche le cento associazioni che fanno parte del Gruppo di lavoro per il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione ONU in Italia hanno rivolto un appello al governo Draghi perché si attivi, “in coerenza con quanto richiesto dalle Nazioni Unite”, per la liberazione degli ex minori combattenti, detenuti in quanto ritenuti appartenenti a gruppi terroristici. E ciò non accade solo in Mali o in Somalia (212 i minori condotti in carcere in quest’ultimo paese nel corso del 2020, di cui solo 128 sono stati rilasciati dall’esercito o dalle forze di polizia somali).

All’indice delle Ong italiane c’è pure l’Iraq, dove il contingente militare italiano ha assunto il 10 maggio 2022 il comando della missione NATO di formazione e addestramento delle unità irachene. “Secondo il Segretario Generale ONU sono oltre mille i piccoli minorenni incarcerati dalle autorità irachene nel 2021 in quanto sospettati di avere legami con l’ISIS”, si legge nel 12° rapporto annuale. “I minori di 18 anni effettivamente o presumibilmente associati a gruppi armati, dovrebbero essere considerati e trattati come vittime e non come colpevoli, rilasciati ed avviati a percorsi di reinserimento nella società. Il nostro Paese dovrebbe usare l’occasione del comando della missione NATO per sollecitare la richiesta delle Nazioni Unite”.

Su minori e conflitto in Iraq, il 24 gennaio 2022 il Segretario generale delle Nazioni Unite ha pubblicato un nuovo report in cui si esprime la preoccupazione per il “significativo aumento” del numero dei bambini detenuti dalle forze di sicurezza di Baghdad perché accusati di presunti legami con gruppi armati come ad esempio Daesh. “Nel periodo compreso tra l’1 agosto 2019 e il 30 giugno 2021 sono stati arrestati 1.091 minori (1.048 ragazzi e 43 ragazze) in comparazione con i 778 minori a fine giugno 2019”, annota il Segretario generale. “Trentacinque risultano essere di origine straniera mentre la maggior parte dei minori detenuti ha un’età compresa tra i 15 e i 18 anni ma alcuni avevano appena 9 anni di età. I minori detenuti con l’accusa di essere membri di gruppi armati continuano ad avere difficoltà nell’accedere ai servizi giuridici, sociali e di altro tipo, e ci sono stati casi di detenzione preventiva prolungata e di denunce di maltrattamenti. In alcuni casi i minori sono stati reclusi insieme a persone adulte”.

“Esortiamo il governo dell’Iraq a rimettere in libertà i minori detenuti per queste accuse”, aggiunge il Segretario generale. “Ribadiamo che per i minori anteriormente vincolati con le forze e i gruppi armati si devono individuare alternative alla detenzione in conformità con il diritto internazionale e con le norme internazionali sulla giustizia giovanile”. Infine la richiesta a che venga portato a termine un piano d’azione per impedire il reclutamento e l’impiego di minori da parte delle cosiddette Forze di Mobilizzazione Popolare, formazioni militari “indipendenti” ma poste tuttavia sotto il comando del Primo ministro e operativamente integrate nelle forze armate irachene. “Abbiamo avuto modo di verificare che le Forze di Mobilizzazione Popolare continuano a condurre operazioni di sicurezza, a volte congiuntamente con le forze armate irachene, nelle zone in cui opera Daesh”, conclude il Segretario generale delle Nazioni Unite. “Abbiamo accertato il reclutamento di un minore di 15 anni. Egli è stato vittima di due violazioni: è stato arruolato nel 2018, ed è morto successivamente, nel maggio 2020, mentre le Forze di Mobilizzazione popolare lo utilizzavano in un’operazione militare”.

Pesanti ombre pure sulla missione militare italiana in Afghanistan, conclusasi lo scorso anno a seguito della controffensiva talebana. “Va sottolineato che il nostro Paese ha erogato, fino al 2021, un finanziamento di 120 milioni annui alle forze di sicurezza di Kabul, nonostante l’Afghan National Army e l’Afghan National Police siano state accusate dalle Nazioni Unite di arruolare minorenni”, denunciano le cento associazioni italiane del Gruppo di lavoro sulla Convezione dei diritti dell’infanzia. Fallimentari missioni di guerra dove le guerre continuano a farle e a pagarle con il sangue decine di migliaia di bambine e bambini.
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