L’Aquila e il decreto pro-diocesi nel cassetto del governo
Anche nella gestione della ricostruzione, dopo il terremoto che ha distrutto L’Aquila, emerge lo strettissimo rapporto tra Chiesa e politica. Soprattutto, l’influenza che riescono ad esercitare i vescovi sul governo, riuscendo a farsi garantire privilegi, corsie preferenziali e fiumi di denaro. Una “trattativa” tra stato e Chiesa, l’ha definita giovedì Il Fatto Quotidiano, svelando il tira e molla per l’elargizione a scatola chiusa di 500 milioni di euro.
Da anni è noto il peso della curia locale nell’indirizzare i fondi per la ricostruzione, come dimostrano i casi della Casa dello Studente e del Centro antiviolenza. Nel 2012 il nome di monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare della città, era emerso per l’inchiesta sulla sospetta truffa nell’utilizzo dei ‘fondi Giovanardi’. Il prelato era stato poi assolto con formula piena, ma le intercettazioni avevano destato imbarazzi anche tra i fedeli, mostrando un uomo molto attivo in “affanni poco spirituali e molto temporali“, che con una certa nonchalance era capace di intessere buoni rapporti con personaggi influenti del mondo politico e imprenditoriale locale.
Ma la capacità di lobbying della curia si sente anche a livello nazionale. Nei mesi scorsi il governo di Enrico Letta, rivela Il Fatto Quotidiano, stava pensando a un emendamento che avrebbe permesso alle diocesi di scegliere le aziende per i lavori di ricostruzione per il post-terremoto. Sul piatto 500 milioni di euro dallo stato per i prossimi 9 anni, per ricostruire e sistemare le chiese colpite dal sisma del 2009. Inizialmente tramite l’intervento del Ministero dei Beni Culturali. Ma poi, con un emendamento della presidenza del consiglio al decreto, si sarebbe pensato di individuare il “soggetto attuatore degli interventi e il beneficiario del contributo” nella stessa diocesi di competenza. In pratica una deroga alla regolamentazione vigente, che avrebbe consentito alla curia di gestire questi soldi in totale autonomia e di affidare i lavori alle aziende più vicine.
Ma lo scandalo delle mazzette e le dimissioni del sindaco Massimo Cialente hanno bloccato tutto, con disappunto della stessa curia. L’indagine della procura vede tra i coinvolti per sospette tangenti il vicesindaco Roberto Riga. Cialente si è assunto la responsabilità politica dimettendosi, ma ha voluto comunque togliersi qualche sassolino dalla scarpa, inviando già a fine dicembre una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nella missiva ha sostenuto che il governo puntava ad approvare la norma, rimasta poi nel cassetto, per favorire proprio la curia — definita “la più grande immobiliarista della città” — nell’elargizione dei fondi per la ricostruzione “di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto”. E ha messo in guardia che questo “disegno”, “non considerato pienamente nelle conseguenze, potrebbe comportare addirittura che i fondi per la ricostruzione privata delle case andranno a ricostruire le chiese”. Come già accaduto in Emilia e in Campania. Un fenomeno che sta diventando fisiologico.
La risposta di monsignor Tommaso Valentini, presidente della conferenza episcopale di Abruzzo e Molise, conferma che esiste una corsia preferenziale per la Chiesa. Già in Umbria, Marche ed Emilia-Romagna, ha spiegato, le diocesi sono “riconosciute come enti attuatori”. Da settembre si susseguono e messaggi gli incontri tra amministratori, politici e curia, quindi arriva la proposta dell’ex ministro Fabrizio Barca per i 500 milioni per la ricostruzione delle chiese. In attesa di notizie più circostanziate e ulteriori sviluppi sulla trattativa non resta che riscontrare, per l’ennesima volta, come la Chiesa riesca a influenzare le decisioni della politica, a livello locale e nazionale (livelli che, nel caso della bipartisan famiglia Letta, peraltro coincidono). Le istituzioni si stanno mostrando fin troppo arrendevoli e solerti nell’impacchettare un decreto smaccatamente pro-diocesi. Mentre gli aquilani aspettano da anni e i lavori vanno a rilento, le chiese non sembrano avere le stesse liste d’attesa. La curia locale non sembra proprio apprezzare i tempi biblici riservati ai comuni mortali.
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