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L’Aquila: dalla manifestazione contro le macerie alla ricostruzione

La manifestazione del 28 febbraio passerà alla storia come la manifestazione delle "carriole", in qualche modo paragonabile allo sciopero alla rovescia fatto negli anni ’50 dai disoccupati di allora in Via Sallustio. In ogni caso la grande partecipazione della gente segna una svolta nello scenario politico cittadino. E’ entrato in scena una nuova soggettività.

L'Aquila: dalla manifestazione contro le macerie alla ricostruzione

 
La manifestazione del 28 febbraio passerà alla storia come la manifestazione delle “carriole”, in qualche modo paragonabile allo sciopero alla rovescia fatto negli anni ’50 dai disoccupati di allora in Via Sallustio. In ogni caso la grande partecipazione della gente segna una svolta nello scenario politico cittadino. E’ entrato in scena una nuova soggettività; essa si compone di mille anime diverse, ognuna di esse porta nel proprio bagaglio le proprie esperienze culturali, sociali, politiche ed umane. Si percepiva nell’aria la grande emotività che ti avvolgeva e ti coinvolgeva. Ognuno di coloro che ha partecipato, che ha preso un mattone, un sasso, un pezzo di giornale, un libro, trasmetteva all’altro la sua volontà di cimentarsi in una esperienza che travalicava i momenti segnati dalla noiosa quotidianità di questi mesi. L’odore di muffa che trasaliva dal cumulo delle macerie segnava il peso delle responsabilità. Undici mesi trascorsi in “celle frigorifere” a discutere del nulla, a pensare alla propria impotenza rispetto a questa tragedia che ci colpito. 
 
Quando, nei giorni scorsi, ho ascoltato in TV che ad Haiti la popolazione due giorni dopo si era attivata per mettere da parte i mattoni per ricostruire le loro case ho pensato a quando siamo scemi. L’idea che ci è stata trasmessa è che la ricostruzione della nostra Città passa attraverso progetti complessi e che gli uomini comuni devono assistere passivamente alla sua ricostruzione. Sicuramente c’è bisogno di tecnici ed anche bravi, ma l’idea di come ricostruire la Città deve essere un patrimonio soggettivo e collettivo. La nostra Città era ed è segnata dalla storia di uomini che hanno lasciato le loro tracce soprattutto attraverso le sensibilità architettoniche ed urbanistiche. 

Non è stato un disegno organico ma un insieme che ha attraversato un tempo lungo della vita di centinaia di uomini. Ed ognuno di noi oggi si rende conto di questo grande patrimonio. Durante i miei anni di vita ho attraversato la Città in lungo e largo, ed ogni tanto guardando in alto o in basso notavi particolari che prima non avevi mai visto; il fascino della Città è proprio questo: scoprire particolari di piccoli e grandi tesori artistici che l’uomo ha lasciato in quell’angolo. Bassorilievi, portali, cortili, fontane, piazze, pietre segnate con date o con nomi sono i segni del tempo trascorso. Quando in un angolo trovi un mascherone che poi, nel tempo, diventa il simbolo di qualche festa cittadina, mi sono sempre chiesto e mi chiedo se chi ha pensato di mettere quel mascherone in quell’angolo pensava che sarebbe diventato un simbolo per la popolazione della Città. Mi sono sempre chiesto qual è il limite tra fantasia e realtà nel costruire una Città. L’Italia è bella per la sua architettura poliedrica, che segna le differenze culturali di un popolo. Ricostruire una Città, sicuramente, è un grande impegno civile e culturale prima che ingegneristico. Abbiamo sotto gli occhi cosa significa “new town”: omologazione culturale, politica e sociale. Non vorrei che il centro storico diventi la fotocopia delle “new town”. Una Città noiosa ed omologata a progetti culturali ed architettonici calati dall’alto.

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