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Khaled El Qaisi, detenuto in Israele, è cittadino italiano ma sembriamo ignorarlo

A settembre si è svolta la quinta udienza nei confronti di Khaled El Qaisi, il ricercatore universitario, cittadino italiano e palestinese, che dal 31 agosto è in custodia cautelare in Israele dopo essere stato arrestato al valico di Allenby, in uscita dai Territori palestinesi occupati.

In questo mese, Khaled El Qaisi ha avuto scarsissimi contatti col suo avvocato, è stato interrogato in assenza di quest’ultimo e non è mai stato informato sulle ragioni dell’arresto e sulle eventuali accuse nei suoi confronti. Tutto questo rende la sua detenzione arbitraria, dunque illegale.
 
All’inizio di ottobre le autorità inquirenti israeliane dovranno presentare le accuse nei suoi confronti, se ne avranno. Se ci saranno, dovranno basarsi su prove verificabili e contestabili. Se saranno la base per un procedimento giudiziario, questo dovrà rispettare interamente le norme del diritto internazionale sul giusto processo. Altrimenti, Khaled El Qaisi dovrà essere scarcerato.
 
Per Israele, l’aggettivo “italiano” che precede il trattino e ciò che segue sono del tutto irrilevanti: l’arrestato è un palestinese, dunque sospetto a prescindere.
 
Ma sembra che l’aggettivo “italiano” sia poco considerato anche nel nostro paese, perché l’altro – “palestinese” – suggerisce un approccio cauto, frutto del pregiudizio che, se è “palestinese”, in quanto è “palestinese”, qualcosa avrà fatto.
 
Ieri alla conferenza stampa indetta alla Camera dei deputati c’erano pochi giornalisti e nessuna telecamera. Un piccolo gruppo di parlamentari dell’opposizione si sta mobilitando mentre il governo sostiene che “non si può interferire in una vicenda giudiziaria” (traduzione: “evitiamo di rovinare i rapporti con uno stato amico”).
 
Alla faccia dei diritti di Khaled El Qaisi. Del nostro connazionale Khaled El Qaisi.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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