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John Scofield conquista la platea giapponese al Blue Note di Nagoya e di Tokyo

Tokyo. Applaudito con caloroso affetto dal pubblico giapponese, John Scofield (Dayton, Ohio, 26 dicembre 1951) si è presentato con il suo collaudatissimo quartetto - Bill Stewart, con lui dal 1992, alla batteria ed i giovani Gerard Clayton, al pianoforte e all’organo, e Vicente Archer al contrabbasso - con il quale ha inciso il suo ultimo album “Combo 66”, titolo che sta a significare la sua età al momento della registrazione. Assisto al primo set del primo dei tre giorni a Tokyo. 

Foto: YUKA YAMAJI

Sette i brani interpretati nell’arco di 74 minuti, quattro dei quali sono presenti nel CD citato.

Il primo, “Can’t dance”, è un brano “carico di groove, che si potrebbe ballare”, aveva dichiarato Scofield in un’intervista rilasciata a Musica Jazz. Effettivamente è molto trascinante, di facile presa per la melodia orecchiabile, come spesso succede nelle composizioni del chitarrista. Mentre il contrabbasso si sofferma sulla medesima nota e Stewart percuote il piatto Ride con un delicato colpo singolo, parte l’esposizione del tema: 16 misure ripetute, seguite da un doppio bridge (il ponte) di 12 misure. Tornano le 16 misure iniziali più un piccolo break di sola batteria, per lanciare le improvvisazioni dei solisti, nell’ordine Scofield, Clayton all’organo e Archer. Ovviamente, dal vivo, secondo una felice consuetudine, il pezzo acquista una maggiore ricchezza, grazie alle improvvisazioni ogni volta diverse, che possono allungare o accorciare la durata del brano, secondo l’umore, in quel momento, dei musicisti. Noto che Stewart percuote un drum set con 4 piatti e due timpani, scelta dettata, forse, dalla decisione di far emergere una parte melodica durante i frequenti solo che lo vedranno protagonista nel corso del concerto.

Foto: TSUNEO KOGA

Il secondo, “Combo Theme”, è un 4/4 medio-lento, per il quale Stewart sceglie di togliere l’effetto cordiera del rullante. E lo farà spesso, a dimostrazione di una preferenza per la percussione melodica, rispetto a quella tecnico-virtuosistica. Dopo il solo del leader, ne segue uno del pianoforte e infine una serie di figurazioni con le spazzole, sostenute dal disegno ritmico del contrabbasso.

 

Foto: TSUNEO KOGA

È un funky delicato di 24 misure, a tempo medio-lento, quello eseguito dal quartetto in “Green Tea”. Ad organo e chitarra spettano i due solo iniziali, mentre Stewart ancora una volta eliminando la cordiera, dà vita ad un breve, denso solo, sostenuto, prima di passare all’esposizione finale del tema, da un doppio stacco di chitarra, rispettando la struttura del pezzo.

E finalmente arriva il momento del veloce “Steeplechase”, un AABA di 32 misure, di Charlie Parker, per esplorare in maniera creativa e sanguigna la scrittura Bop. Nell’ordine si succedono il solo di chitarra, del pianoforte e una serie di breaks ora di 8, ora di 4 misure con la batteria, talmente succosi, che si vorrebbe, e sarebbe possibile, continuassero ad libitum.

Una introduzione solitaria della chitarra serve a lanciare un morbido ¾, “Hang Over”. In evidenza, le spazzole di Stewart ed un apprezzato solo di pianoforte. Gli ultimi due brani compaiono entrambi nel CD. Il primo, “The King of Belgium”, è un omaggio al chitarrista e armonicista belga Toots Thielemans (1922-2016), un musicista benvoluto dai colleghi. Dopo il solo di pianoforte, ancora una serie di breaks, ora di 4, ora di 2 misure, per un pezzo mainstream swingante, in cui fa capolino l’affetto per l’artista scomparso e, nel finale, una citazione di “My favorite things”.

Foto: TSUNEO KOGA

Il brano di congedo, “New Waltzo”, è un ¾ con accenti rockettari e cambio di registri per la chitarra in fase di esecuzione. È stato scritto di getto dal leader, in ricordo del figlio appena scomparso (nel 2013).

Esibizione di gran classe, perfetta per un club, da parte di un quartetto che suona ad occhi chiusi e al quale i grandi teatri si addicono meno. In un locale di piccole dimensioni, il pubblico rimane affascinato e i musicisti sono maggiormente stimolati a dare il meglio di sé.

Concluso il lavoro col proprio gruppo, Scofield è stato invitato ad esibirsi quale ospite d’onore nell’unica serata riservata al quintetto di Hino Terumasa (Tokyo, 25 ottobre 1942). Locale superaffollato per un trombettista che è sembrato più un imbonitore, che un musicista rispettabile. Il suo gruppo è composto da musicisti in giovane età (pianoforte e tastiere; basso elettrico; chitarra; batteria), irruenti nell’esprimersi, lontani anni luce dall’eleganza del quartetto di Scofield, visto tre giorni prima. Nel corso del primo set, Hino ha invitato a salire sul palco il proprio figlio, al basso elettrico ed un percussionista di Djembè, in questo caso niente male.

​Foto: YUKA YAMAJI

L’unico pezzo accettabile dei sei in scaletta è “Slinky” di Scofield, il quale si è dichiarato onorato di esser stato invitato a condividere il palcoscenico con un musicista di cotanto valore. Applausi ed entusiasmo della platea, per un musicista che già nel 1974 si era trasferito dal Sol Levante a New York. È sembrato affaticato, con carenze di intonazione. La sua tromba gridava, ma era priva di limpidezza, né sembrava conoscere le dinamiche. Il set trovava alfine la sua conclusione con “Smile” di Charlie Chaplin, su cui vale la pena stendere un velo pietoso.

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