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Istruzioni per gli aspiranti insegnanti: studiare il fenomeno polenta

Quando, anni fa, feci l’esame per entrare di ruolo come insegnante di italiano, greco e latino, mi ero laureata da neanche un anno. Ricordo quell’esame come un incubo: avrei dovuto conoscere alla perfezione letteratura italiana, greca, latina, storia e geografia e avere qualche nozione di didattica e di legislazione della scuola. Dopo gli scritti toccò agli orali. Nessuno, a dire il vero, mi chiese chissà che di legislazione della scuola, ma quando si trattò di letteratura italiana e di Dante, ricordo che il presidente della commissione aprì a caso l’inferno, per mia fortuna su un passo ch’io conoscevo bene.

Fu un incubo, ma a 25 anni ero già abilitata e insegnante di ruolo. Nessuno mi chiese da dove venissi, si valutarono le mie conoscenze sulle mie materie specifiche.

Se però mi presentassi in un prossimo futuro a un concorso per entrare di ruolo e insegnare, mi troverei ancor più in difficoltà.

Istruzioni per gli aspiranti insegnanti: studiare il fenomeno polenta

Innanzitutto, se fossi del sud (e io sono mezza piemontese e mezza siciliana), dovrei prendere la residenza nella regione in cui ho scelto di fare l’esame, poi dovrei restare lontana da casa e sempre in quella regione per almeno 5 anni, infine dovrei conoscere la cultura locale.

 

Infatti, sommo spregio, pare che alcuni insegnanti “terroni” non sappiano nemmeno cosa sia la polenta, così dice la Lega friulana particolarmente piccata su questo cibo tipicamente padano. Stento a credere che qualcuno non sappia cosa sia la polenta non foss’altro perché al sud gli abitanti del nord vengono chiamati “polentoni”.

Se fossi del sud e volessi insegnare al nord non per un masochistico desiderio di recidere le mie radici, né per un bisogno estemporaneo di cambiare vita, ma per necessità e per non restare disoccupato, dovrei fare tutte queste cose. Nel concorso invece di parlare della Divina Commedia (cultura toscana?) magari dovrei spiegare come fare la polenta e inoltrarmi nelle radici culturali di un qualsiasi paese della Padania (entità creata ad hoc dai leghisti e che non esiste né geograficamente, né soprattutto culturalmente, ma pazienza).

Tutte queste e altre cose sono infatti contenute nel disegno di legge presentato da una deputata della Lega, l’on. Goisis alla Camera. La sostanza è la regionalizzazione dalla scuola. Tutti i docenti, i dirigenti il personale ATA dovranno dipendere dalle regioni, il che segnerà anche la fine di un contratto unico nazionale e la nascita di tanti contratti quante sono le regioni italiane. Un federalismo scolastico che si spinge anche nei programmi che dovranno dedicare spazio a cultura, lingua, tradizioni locali. Parentesi: se vivessi in Toscana lo capirei, ma vivo in Valsesia, dove, con buona pace di tutti, non c’è mai stato un Galileo, un Dante, un personaggio di un certo spessore. Almeno, potrei esaurire l’argomento nel giro di poche ore di lezione. Chiusa la parentesi.

Spero che questa schifezza non passi mai, ma persino l’averla concepita è uno sfregio in primo luogo all’unità nazionale per cui tanti poeti invano hanno scritto versi mirabili e tanti giovani, della non ancora Padania, sono morti, poi alle intelligenze del sud Italia che devono emigrare al Nord per cercare lavoro (lavoro su cui la repubblica italiana mi pare sia fondata), è uno sfregio alla storia della civiltà, alla globalizzazione che avanza, è uno sfregio, l’ennesimo, alla scuola, alla sua funzione non solo di insegnare la cultura, ma anche di formare cittadini italiani, non piemontesi, veneti, lombardi o padani!

Eppure non ho visto queste notizie su nessun giornale, forse perché è solo una proposta di legge, forse perché nella dequalificazione della scuola, dei docenti e dell’istruzione davvero il governo ha avuto successo.

Spero però sia solo una svista mia.

Ci saranno tagli nella scuola per oltre 24.000 docenti, per il personale ATA, altro che isola dei cassaintegrati, non basterebbe l’Asinara ci vorrebbe un arcipelago bello grande. Naturalmente nessuno pensa di contrapporre i precari fra di loro, però è curioso che dei precari della scuola si parli poco (grandi servizi di Iacona, grazie), a ondate forse, ma senza la rilevanza che la notizia dovrebbe avere.

Se si ferma Termini Imerese c’è la miseria per molte famiglie, c’è la mafia che prende piede, c’è la fine della produzione di automobili… tutto sacrosanto.

Se si ferma la scuola? Se la scuola non funziona? La scuola, lo ripeto, è il futuro, la scuola è la formazione dei giovani!

Ma da dove arrivano tutti questi precari?

Le operazioni fondamentali sono state tre:

  1. togliere le ore di compresenza che nelle scuole dell’infanzia e nei laboratori (chimici, meccanici, alberghieri) è criminale;
  2. diminuire le materie (tagliando senza un criterio preciso, ma là dove le materie hanno più ore, forse perché sono quelle che qualificano un corso!)
  3. aumentando il numero di allievi per classe; il che oltre a portare a un totale disfacimento della didattica, porta a minor sicurezza, porta poi a fenomeni di pendolarismo che penalizzeranno le famiglie. Il minimo per una classe prima è di 27 alunni, il massimo 32 (talvolta 34… 34 avete capito bene), se gli iscritti sono 40, gli alunni in più devono cercare un altro istituto. Se si vive in città forse in un quartiere vicino si troverà un omologo, se si vive in periferia si sarà costretti a spostarsi nelle città più vicine.

Così per risparmiare si taglia, si danneggiano le famiglie e ora si cerca di minare quel poco di senso dello Stato, di unità nazionale che si è costruito a fatica fin dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

Io credo che tutti dovrebbero difendere la scuola. Tutti abbiamo bisogno di gente preparata, di persone, uomini e donne, che studiano, hanno un proprio pensiero, dei progetti e la possibilità di realizzarli. Tutti ne abbiamo bisogno, ma di scuola si parla o per criticare i docenti (non fanno niente), o per stigmatizzare il bullismo o per dire quanto sono ignoranti i nostri ragazzi.

Se ora passasse anche questa proposta di legge vorrebbe proprio dire che ci meritiamo il futuro che abbiamo contribuito a costruire subendo ogni cosa, anche la mutilazione della scuola pubblica (quella privata i fondi li trova sempre nonostante l’art. 33 della Costituzione Italiana reciti “omissis… Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato… omissis”. Senza oneri per lo Stato!).

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