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Iran, espulsioni e arresti nelle università Rouhani non allenta la repressione

In Iran, il primo anno accademico sotto la presidenza di Hassan Rouhani termina con le università ancora sotto il ferreo controllo delle autorità.

È vero che alcune misure repressive sono state allentate e, almeno stando a quanto dichiarato dal ministero della Scienza, a questo anno accademico sono stati riammessi 126 studenti in precedenza espulsi.

Tuttavia, nei confronti di centinaia di altri studenti, il provvedimento di espulsione resta in vigore, così come restano in carcere decine di ragazze e ragazzi, arrestati nel 2009 nelle università all’indomani delle proteste contro le presunte irregolarità che avevano favorito la rielezione a presidente di Mahmoud Ahmadinejad. L’unica concessione nei confronti del più noto di loro, Majid Tavakkoli (nella foto), condannato a nove anni e mezzo, è stata una licenza di quattro giorni, nell’ottobre 2013, terminata la quale l’attivista studentesco è stato riportato in prigione.

Anche sotto la presidenza Rouhani, sebbene in misura minore, studenti sono stati processati e condannati per il reato “omnibus” di “propaganda contro il sistema”.

Nella repubblica islamica iraniana, le università sono sempre state un luogo di produzione di pensiero indipendente e di dissenso. Le autorità lo sanno bene e per questo motivo, come illustra un rapporto pubblicato ieri da Amnesty International, nei confronti di studenti e docenti si applica da 30 anni una politica di “tolleranza zero”, basata su minacce, espulsioni, arresti e condanne ma anche sulla discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze religiose.

Il rapporto di Amnesty International si concentra sulle tattiche repressive adottate all’indomani della prima elezione di Ahmadinejad, nel 2005.

Queste tattiche hanno incluso la “islamizzazione” dei programmi accademici con la conseguente eliminazione di influenze “occidentali” e laiche. Ad esempio, i corsi di “studi femminili” sono stati modificati per escludere dai programmi i diritti delle donne nel diritto internazionale a favore di una maggiore enfasi sui “valori islamici”.

Durante la presidenza di Ahmadinejad, il notevole aumento delle immatricolazioni femminili all’università (nel 2007 le studentesse erano il 58 per cento del totale) si è bruscamente interrotto, attraverso il divieto d’iscriversi a corsi giudicati più adatti agli uomini e l’introduzione di un sistema di quote, che ha penalizzato l’accesso delle donne all’università.

La “islamizzazione” dell’istruzione universitaria, una più rigida applicazione delle norme sulla segregazione di genere e sull’abbigliamento femminile, insieme al sistema delle quote, hanno avuto e hanno ancora un effetto deterrente nei confronti delle donne che vogliono iscriversi all’università.

Inoltre, l’istruzione femminile continua a essere additata dalle autorità e dai leader religiosi come una causa che contribuisce all’incremento dei tassi di disoccupazione tra gli uomini, all’aumento dei divorzi e al calo delle nascite, quest’ultimo recentemente lamentato dalla Guida suprema che ha invocato una crescita della popolazione.

Un provvedimento non discriminatorio nella sua applicazione ma particolarmente rovinoso per la carriera universitaria è quello degli “asterischi”, che vengono annotati sul libretto universitario per registrare i comportamenti e le azioni che non si conformano al pensiero ufficiale. A seconda del numero di “asterischi” raggiunti, lo studente viene espulso temporaneamente o definitivamente dall’università.

Le limitazioni all’accesso all’istruzione universitaria non colpiscono solo le donne. Ogni anno, decine di studenti di fede baha’i non vengono ammessi ai corsi anche dopo aver superato l’esame di ammissione o vengono successivamente espulsi. I baha’i sono visti con sospetto dalle autorità, che li perseguitano con arresti e condanne.

Un test decisivo per il governo del presidente Rouhani sarà vedere se e fino a che punto, nel prossimo anno accademico, le autorità allenteranno la presa sulle istituzioni accademiche.

 

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