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Investire nel futuro

Investire nel futuro

 
Molti di noi, abbrutiti dalle difficoltà e dalle scadenze quotidiane o impegnati a testa bassa, con il cervello confuso dalle superficialità che ci impone la comunicazione televisiva, delusi dalla politica e rassegnati ad adattarsi all’esistente, non sognano più un mondo diverso, gelati dall’individualismo diffuso che non fa intravedere nulla di condivisibile.
 
Il fallimento storico del comunismo e la scomparsa degli ideali ad esso collegati sono una parte della crisi, ma anche il cosiddetto “liberismo” capitalista, arrivato nella sua fase suprema della globalizzazione e delle multinazionali, ha generato crisi finanziarie, situazioni debitorie al limite della bancarotta, crisi ambientale, senza riuscire, non dico a risolvere, ma ad affrontare fame e sovrappopolazione, che aveva garantito di risolvere con la forza onnipotente del “mercato” globale.
 
L’economia ha preso il sopravvento sulla politica, e questa non riesce neppure ad imporre al sistema industriale globale una limitazione dei danni ambientali ed un contenimento della Co2, senza il quale gli scienziati ci dicono che arriveremo presto su una strada di non ritorno (vedi il fallimento del trattato di Kyoto e di Copenaghen). Tutte le economie nazionali sono legate al sistema finanziario internazionale, Fondo Monetario in testa, e quelle più deboli ed esposte sul piano debitorio sono oggetto di una feroce speculazione (Argentina e ora la Grecia, etc.), con l’obiettivo di impossessarsi a prezzi stracciati di interi settori economici (industrie elettriche, compagnie telefoniche, acqua, ecc.) e di renderli così paesi satelliti e sotto ricatto.
 
L’obiettivo è quello di garantire ai paesi più forti finanziariamente ed economicamente la possibilità di uscire dalla crisi debitoria (USA in testa), scaricandola sul sistema internazionale e schiacciando i più deboli. La frantumazione dell’Europa e la scomparsa dell’euro sono nei piani della grande speculazione finanziaria internazionale, guidata da anglofoni e sionisti.
 
L’ingresso di nuovi paesi produttori sulla scena internazionale con offerta di merci a prezzi bassi sta creando, anche in Italia, una strategia capitalista di aumentare la produttività e annullare i diritti, compreso quello di sciopero, con imbarbarimento dei rapporti di lavoro, che avvicina sempre più il lavoro salariato alla schiavitù, come dimostra bene la FIAT a Pomigliano.
 
E’ questo lo scenario che ci offre la dominazione capitalista: una vita sempre più incerta, precaria, ritmi di lavoro sempre più intensi, pochi diritti, più disoccupazione (per l’emergere di intere nazioni che si producono da sole le merci che prima noi gli vendevamo), disastro ambientale causato da un consumismo insostenibile.
E’ proprio questo il punto fermo che dobbiamo mettere, se vogliamo impegnarci per avere un futuro: questo sistema produttivo e distributivo è insostenibile. Lo è per l’ambiente e per la qualità della vita degli uomini.
 
Il brutto è che nessuna forza politica, considerata progressista o di sinistra, fa il punto sulla situazione generale, e tanto meno elabora una strategia di uscita dalle logiche suicide di un capitalismo senza freni.
 
Ciò che fa apparire ridicola e sorpassata l’opposizione che oggi abbiamo in Italia, che il moderato De Benedetti considera una “balena arenata”, è che essa parla la stessa lingua del governo, parla di rilanciare l’economia, più produttività, i sindacati collaborano, nessuno mette in discussione la dittatura dell’economia, il nucleare si può fare, come la TAV e il Ponte sullo stretto. Oggi è evidente che sono generali senza esercito, la classe operaia non li considera più, anche perché in questa situazione non vi è alternativa al modo di produrre capitalista.
 
Intendiamoci però, il peso della classe operaia e la sua centralità nel ciclo produttivo è sempre lo stesso, anche in termini numerici. E’ venuto meno il suo peso politico e sociale da quando è scomparso dall’orizzonte una qualsiasi alternativa rivoluzionaria o riformista, e la “sinistra” si è accucciata nel comodo “Palazzo”, nella RAI, e si accontenta di sopravvivere (ancora per poco).
 
L’unico scenario antagonista che si può immaginare, di fronte alla evidente crisi finanziaria, sociale e ambientale provocata dal ciclo produttivo globalizzato, è quello di pretendere che in due settori economici vitali per la sopravvivenza, quello dell’energia e quello dell’agricoltura, si mettano regole protezioniste, in grado di far camminare un progetto di autosufficienza energetica ed alimentare su gambe italiane, dalla progettazione, alla manifattura, alla installazione, e parliamo di energie rinnovabili e di agricoltura totalmente biologica.
 
Noi viviamo in una situazione di incertezza e di insicurezza, basta che per 3 giorni non camminano più i camion e ci troviamo con i supermercati vuoti e le automobili ferme. Quindi possiamo immaginare in che guaio saremmo nel caso di una crisi del petrolio, con la dipendenza energetica ed alimentare che abbiamo dall’estero.
 
Chiunque sarà in grado di proporre agli italiani un credibile progetto che ci porti alla autosufficienza energetica ed alimentare, e che questo piano non preveda la concentrazione in poche mani, ma la segmentazione diffusa su tutto il territorio, facendo di milioni di italiani dei produttori di elettricità, pianificando una agricoltura legata ai bisogni del territorio, a km zero, pulita, con vendita diretta, ebbene chiunque lo farà, porterà un clima nuovo e lungimirante che ci spingerà finalmente a progettare il nostro futuro nazionale che ci dia delle certezze portando salute alle persone e all’ambiente.
 
Naturalmente non parlo di un piano quinquennale sovietico, ma di milioni di privati che diventano produttori di energia e di piccoli agricoltori non più in mano alle mafie dei mercati generali.
 
Il grande difetto, sia del capitalismo che del comunismo, è quello di aver bisogno di masse di schiavi salariati che non sono trattati come esseri umani, ma sono parte di una macchina produttiva, spesso nociva o letale, che non ti chiede di pensare ma di obbedire e tacere.
 
Questo si chiama il “grande modo di produrre” e va sostituito dal “piccolo modo di produrre”, che può essere costituito da singoli, da famiglie, da piccole cooperative, in grado di produrre ogni bene materiale necessario, escludendo la schiavitù salariata con le sue degenerazioni di violenza agli individui e all’ambiente.
 
Avere questo orizzonte strategico consente già ora a molte persone di incamminarsi su questa strada, collegarsi e aiutarsi tra loro, per gettare le basi di un umanesimo con radici materiali ed etiche, dove ci si riconosce nel principio di non essere sfruttati e di non sfruttare nessuno, di non nuocere alla salute dell’ambiente né a quella degli uomini.
 
Nelle energie rinnovabili e nella agricoltura biologica c’è questa etica, si butta al cesso la competitività e il potere dei padroni e dei soldi, ci sono le basi materiali della collaborazione tra le persone e del loro riconoscersi come nuova categoria sociale omogenea e solidale.
 
Vedo in giro una profonda insoddisfazione nelle classi subalterne, c’è grande incertezza per il futuro, c’è passività, rassegnazione, ci sono molti suicidi, molti si ammazzano con le droghe o con l’alcool.
 
Tutti i “leader” prima o poi diventano tiranni, nessuno può agire al nostro posto, bisogna cominciare a vivere e lavorare facendo la pace con gli uomini e l’ambiente, e dimostrare che un altro mondo è possibile anzi è necessario.

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