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Invalsi: le orecchie d’asino sulla testa dei figli del popolo

Proponiamo una lettera di un nostro compagno insegnante, impegnato quest'anno negli esami di terza media e, quindi, nella somministrazione e correzione delle prove INVALSI, che alle medie fanno parte dell'esame di Stato.

 Le critiche ai test INVALSI non sono nuove: queste prove di valutazione sono sbagliate nel metodo e nel merito, cioè nel fatto che non hanno l'obiettivo di valutare la crescita di una persona, ma la sua capacità di trovare le risposte giuste alle domande proposte, che nulla hanno a che vedere col testo e con la sua comprensione. Dall'anno prossimo le INVALSI saranno parte dell'esame anche alle superiori, e in quanto tali ricadranno nel divieto di sciopero: non sarà più possibile, per i docenti, astenersi dalla somministrazione, e sarà anche difficile il boicottaggio da parte degli studenti perché il punteggio farà media con gli altri voti.

Tra metodi di valutazione oppressivi, ingresso a regime dell'alternanza scuola-lavoro, taglio costante dei fondi alle scuole pubbliche, demansionamento dei docenti, contratti bloccati e logica perversa dei bonus per i meritevoli, la scuola si sta rapidamente adeguando ad una società profondamente arretrata, dove la competizione sfrenata e l'annullamento del pensiero critico devono farla da padrone. 

Contro questo modello, abbiamo tutti il dovere di opporci e lottare, esigendo innanzitutto quello che la legge ci garantisce e che spesso è negato - scuole aperte, sicure, efficienti e attrezzate - e iniziando a chiederci quale scuola vogliamo per "i nostri", qual è il nostro modello educativo e come vogliamo costruirlo.

Abbiamo appena finito di correggere le Prove Nazionali INVALSI che fanno parte dell’esame conclusivo del primo ciclo, ex terza media per intenderci. I nostri studenti hanno letto un brano di Natalia Ginzburg, che parla di una ragazzina un po’ recalcitrante rispetto all’istruzione (ma anche di molto altro), e un articolo di comparazione tra la lettura su carta e sullo schermo. Torno a casa e mi chiedo che cosa abbiano imparato oggi. Spero che abbiano perfezionato l’arte del copiare e del collaborare, quella che gli anglofili tecnici INVALSI chiamano cheating; spero che abbiano allo stesso tempo imparato a dire ai tecnici quello che vogliono sentirsi dire, sapendo, contemporaneamente, che quella non è la verità.

Nel racconto della Ginzburg la madre, dopo la licenza elementare, decide di iscrivere la figlia al ginnasio, la scuola dove la protagonista si è recata a fare gli esami: è evidente che la madre preferisca quella scuola ad altre – altrimenti non l’avrebbe scelta – ma per l’anonimo correttore che abbiamo a disposizione questa risposta è sbagliata.

Le opinioni della madre sono, a quanto pare, oscure: alla domanda sul perché questa signora esiga che la figlia vada a scuola da sola, quasi tutti i miei alunni hanno risposto che lo fa perché la scuola è vicina a casa. Nel testo è scritto, e loro saranno stati confortati, nella risposta, dal pensiero delle loro madri, spesso troppo impegnate per accompagnarli, che li invitano ad andare a scuola da soli perché è vicina. Se c’è un intento pedagogico, nella scelta della madre, non è dato di saperlo; potrebbe esserci, ma inconsapevolmente. Sta di fatto che chi non ha risposto sottolineando che la madre, così facendo, voleva risvegliare la figlia dal suo torpore esistenziale, ha sbagliato irrimediabilmente.

Poco più in là, si chiede ragione, agli studenti, di uno strano comportamento: la bambina, di fronte alle sfuriate del padre, reagisce con “un sorriso largo e stupido”. Rileggo un paio di volte il testo per capire, stavolta, che cosa vogliano i tecnici; immagino quante volte lo abbiano riletto i miei studenti. Secondo l’INVALSI la bambina sorride perché ha paura e si vergogna di avere paura; l’hanno dedotto da un paio di parole alla fine del periodo. Io mi chiedo se la protagonista stessa ne fosse consapevole, e quanto la domanda fosse intelligibile per dei ragazzi che tante volte sorridono, o piangono, senza sapere perché.

Forse, però, qualcuno di loro si sarà sentito vicino alla piccola protagonista, per il fatto che anche lei, come loro, si può concedere poche gioie. Una, ad esempio, è quella di farsi lunghi bagni caldi, di nascosto dal padre (freddo, per i miei studenti, collerico per il sig. INVALSI); è questo il momento, dunque, in cui la piccola disobbedisce al genitore? No, per l’INVALSI disobbedisce solo quando il papà non c’è. Qui, evidentemente, è l’infanzia dei tecnici che torna: bambini così timorosi da aspettare che il padre andasse via di casa per concedersi atti proibiti, mentre della piccola protagonista emerge, dietro la sfrontata abulia, una sensibilità profonda verso le bugie utili e le dinamiche familiari, e non facciamo fatica ad attribuirle la capacità di disobbedire al padre, facendosi un bagno caldo, anche mentre il padre è in casa; con buona pace dei creatori di quest’altra domanda, che evidentemente questo piacere non l’hanno mai provato.

È sempre così: ogni volta che un pacco di fascicoli INVALSI viene aperto, da qualche parte nell’Iperuranio della letteratura un’opera muore. Muore, soprattutto, l’atto fondamentale della lettura per piacere, cioè il furto. Il lettore ruba all’autore il libro e lo fa suo, con un altro significato. Questo ce lo insegnano all’università, allo scopo di farci diventare professori costretti, in un futuro, a insegnare ai loro allievi che invece l’interpretazione di un testo narrativo è univoca, e che “capire un testo” significa solo trovare, nel modo più rapido e furbo, le paroline che ti indicano la risposta giusta ad una domanda inutile.

Ma il problema di questa gente è che non conosce la lingua italiana, della quale pretende di verificare le competenze. Nel secondo testo si argomenta che la lettura su schermo ha dei limiti che finora non sono stati superati. Sono “insuperati”, quindi? No. Sono “invalicabili”. La parola insuperati è una delle possibilità, ma serve solo a farvi sbagliare l’intera risposta.

Lo stesso gioco sadico lo troviamo nel completamento di una frase in cui si dice che le recenti ricerche dimostrano l’importanza della scrittura a mano per lo sviluppo cerebrale: i “risultati” delle ricerche, non i loro “progressi”; guai se sbagliate.

Quando arrivano alle domande di grammatica sono stremati, sbagliano ad individuare i soggetti e io me ne rammarico, perché ci siamo stati mesi e non si può sbagliare ad individuare il soggetto: però poi scopro, con meraviglia, che quasi tutti hanno trovato, tra quattro frasi proposte, quella contenente un’espressione “polirematica”.

Le prove INVALSI sono, ormai, lo strumento principale di valutazione delle scuole e dei territori, più che degli individui; entrano nei rapporti periodici di autovalutazione degli istituti, vengono utilizzate come criterio di scelta della “scuola migliore” o dell’ “insegnante migliore” e il tenore delle domande è sempre questo. Un mix di approssimazione e saccenza governa le nostre scuole, regola ex post la didattica, interviene a gamba tesa imponendo il contrario di quanto ci insegnano: dopo anni passati a valutare gli alunni individualmente, valorizzandone il percorso compiuto piuttosto che il risultato, il “saper fare” piuttosto che il “sapere”, senza nessuno strumento serio concreto e finanziato per recuperare i ritardi, si decide che al termine della scuola dell’obbligo gli alunni devono sapere perché una bambina sorride stupidamente; se non imparano a dedurlo, con regole la cui validità è tutta interna al test e non ha alcun senso nella vita reale, non hanno raggiunto gli obiettivi previsti.

E mentre nei paesi che sono “formalmente” il dichiarato modello educativo, tipo la Finlandia, l’utilità e la razionalità dei test OCSE-PISA, su cui le prove INVALSI si basano, è messa in discussione, noi ne facciamo l’unico specchio in cui si riflette il valore del nostro sistema educativo: si attribuiscono medaglie e orecchie d’asino, che andranno, naturalmente, a chi a quattordici anni si rifiuta ancora di essere come si vuole che sia: si sforza di restare tondo, mentre noi vogliamo per forza trasformarlo in quadrato.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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