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Intervista al Professional Consumer: dove va la crisi?

Intervista rilasciata al sito di finanza: www.soldionline.it

La crisi dei mercati finanziari si è trasformata in crisi dell’economia reale. Che effetto ha questo sui consumi della gente comune?
«La crisi finanziaria è figlia, invece, della crisi dell’economia reale che è rimasta coperta, quasi nascosta, per anni. Le origini di questa crisi risalgono almeno a 10/15 anni fa. I redditi già allora non ce la facevano a sostenere la domanda. Questo ha portato alla pratica del ricorso al debito e il credito ha trasformato questo bisogno in un business evitando così il pericolo di un crollo del sistema. Nel momento in cui il settore immobiliare ha avuto le sue difficoltà, il sistema è collassato. Ma la crisi, era già in atto da tempo. Che cosa sta succedendo quindi oggi? Semplice. I consumatori non ce la fanno più perché non hanno più il supporto del credito per poter tamponare il loro debito e quindi quello che era stato coperto per oltre un decennio è venuto a galla adesso. A questo punto i consumatori devono riuscire a far rendere al massimo quel poco di reddito che hanno».

Quali sono state le cause di questa crisi latente?
«Diverse. Lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione per prime. Queste hanno portato ad un eccesso di capacità produttiva, e di produzione da smaltire. E’ qui il nocciolo della questione. Ad una maggiore capacità produttiva corrisponde un aumento dell’offerta a cui la domanda deve adeguarsi. Ma, se c’è una maggiore automatizzazione dei processi produttivi, che aumenta la produttività dell’azienda, diminuisce di contro il potere contrattuale di chi ci lavora. L’azienda aumenta produttività, ma non ne beneficiano i lavoratori che continuano a perdere potere d’acquisto: con la globalizzazione entrano poi in campo eserciti di lavoratori del terzo mondo, che tengono i salari bassi».

La politica ha avuto un ruolo in tutto questo?
«Certo, la deregulation degli anni ’90 ha avuto un ruolo importante. Ha contribuito ha rimuovere i vincoli a far sì che il meccanismo dell’aumento di capacità produttiva potesse prosperare e l’economia potesse produrre sempre di più e mettere sul mercato sempre più merce. La deregulation non è figlia della politica, però, ma del meccanismo economico. E’ stata l’economia a pretendere dalla politica la deregulation».

Lei dice che è stato il credito facile la causa vera di questa crisi. Ce lo vuole spiegare?
«Dal 2001 c’è stato un aumento della liquidità. Questo perchè il costo del denaro doveva essere tenuto basso per poter fluire facilmente. Poi Bush ha messo appunto nel 2004 il progetto politico della "società dei proprietari" per far sì che dopo il crollo delle Torri gemelle gli americani riacquistassero fiducia. Cosa c’era di più solido del business del mattone per farlo? La politica, in questo caso, è andata d’accordo con l’establishment finanziario. E’ evidentemente una manovra non solo economica, ma anche psicologica: il mattone è solido e sicuro, ideale per dare fiducia».

Come può difendersi il consumatore da questa repentina perdita di potere d’acquisto?


«Una perdita di potere d’acquisto che dura anch’essa da almeno quindici anni, sempre coperta dall’accessibilità del credito. Per dare un’idea di quanto questo business del credito sia grande, basta pensare che per gli Stati Uniti conta per lo 0,7% del Pil. Quindi, c’è una quantità enorme di debito. Se non ci fosse stata tutto questo debito a sostenere i consumi saremmo già nei guai da un bel pezzo. Per difendersi dalla perdita di potere d’acquisto, il consumatore ha un’opzione di lungo termine ed una di breve. La prima, quella di lungo periodo, è realizzabile soltanto se si considera il consumo come mestiere, come faccio io, e quindi, come tutti i lavori, richiederebbe una retribuzione. 

Un’ipotesi di più breve periodo prevede che il consumatore sia in grado di sfruttare in modo più produttivo il suo reddito per far fronte ai suoi impegni. Come? Selezionando oltre misura la domanda. Se non si segue pedissequamente la moda, per esempio, si comprano meno capi di abbigliamento e si utilizzano per più tempo. Il che non vuol dire astenersi dall’acquistare, bisogna selezionare fortemente l’acquisto! Se mi fornisco di una dieta alimentare adeguata, non ingrasso, non devo spendere soldi per smaltire il grasso, sto più in salute e spendo meno. Così il reddito rende di più»

Lei parla di reddito per l’attività di consumo, ma non è un ritorno a una forma di sussidio?
«No, non un sussidio, ma un reddito. I consumatori fanno due lavori: trasformano con l’acquisto la merce in valore e poi attraverso il consumo di questa merce, inneschiamo il meccanismo della riproduzione. E’ un lavoro che genera 70% del Pil! Pretendere utile da questo lavoro è oltremodo doveroso».

 

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Mauro Artibani

www.professionalconsumer.splinder.com

www.professioneconsumatore.org

 

 

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