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In tutto il Sud lavorano tanti operai quanti nella sola Brescia. Intervista a La Malfa

Anatomia di un suicidio sociale assistito.

"In tutta l’area meridionale, fatta di 25 milioni di abitanti, oggi l’occupazione nelle grandi e medie industrie è pari a quella della sola Brescia: 40 mila lavoratori. Tornare a crescere, e fare sviluppo, significa per l’Italia soltanto una cosa: fare crescere il Sud per colmare il divario economico che lo separa sempre più dal Nord". 

Deputato di lungo corso, iscritto al gruppo dei Liberaldemocratici, Giorgio La Malfa lancia al governo Monti un’appassionante sfida: rilanciare il Mezzogiorno per rimettere l’economia italiana sulla rotta di un pieno sviluppo. Non sulla base di slogan, ma di precisi dati sul sistema industriale del meridione, che l’onorevole ha raccolto nel Rapporto della fondazione Ugo La Malfa presentato ieri alla presenza del presidente della Camera, Gianfranco Fini, e del ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Basti dire che si tratta del primo studio sistematico sui settori di attività, sulla localizzazione e sui bilanci delle imprese che hanno sede nel Sud Italia. "È al ministro Barca che gireremo i dati di questa inchiesta", precisa La Malfa, "perché crediamo che il Sud sia la chance più importante a disposizione del governo Monti".

Professore, che cosa emerge dal rapporto?
Siamo in presenza di una vera e propria desertificazione industriale. Il Sud ha risentito nel lungo periodo dell’impostazione data alla politica di sviluppo delle regioni meridionali che si fondava soprattutto sulle grandi imprese e in particolare sulle partecipazioni statali. Questi grandi gruppi però non sono stati capaci o non hanno voluto creare un indotto sufficientemente robusto, in grado, cioé, di operare sui mercati aperti una volta che la grande industria è entrata in crisi come del resto in tutto il Paese.

Ritiratosi lo Stato, è morta la grande industria, insomma.
Proprio così. La media impresa, nel resto del Paese è riuscita a sostituire la grande impresa sui mercati internazionali e quindi a sostenere l’occupazione industriale. Non così al Sud, dove la media impresa non è riuscita a sopperire alla perdita di occupazione. 

La grande impresa è diventata al Sud una specie in estinzione. 
Alla grande impresa sono riconducibili circa 2000 aziende italiane. Di queste solo 106 hanno sede nel Mezzogiorno ed occupano circa 70mila dipendenti. Ma i dati dolenti vengono soprattutto dalle medie imprese.

Dica pure.
Le imprese medie sono nel Sud 341, cioè l’8,5 per cento del totale nazionale, e occupano poco più di 40mila dipendenti. Queste aziende hanno sofferto più di quelle del Nord della crisi del 2008 e hanno faticato maggiormente a tornare vicino ai livelli pre crisi, soprattutto a causa della minore spinta verso l’export che caratterizza le imprese del Sud.

E questo spiega in parte una disoccupazione che in alcune aree del Meridione tocca addirittura il 45 per cento.


Per capire la portata del fenomeno, basti dire che nelle regioni meridionali l’occupazione nell’industria di medie e grandi dimensioni è di soli 110 mila unità. Più o meno uguale a quella esistente in una provincia come quella di Brescia, che però ha meno di un milione di abitanti mentre il Sud d’Italia ne ha più di 25 milioni.

Domanda ingenua. Perché questi risultati dopo sessant’anni di politiche meridionaliste?
Le imprese del Sud registrano un minor valore aggiunto per dipendente rispetto a quelle del centro-nord. E se questo è compensato in parte da un minor costo del lavoro, la redditività è la metà di quella delle imprese settentrionali. È chiaro che con questi indici di redditività non c’è interesse da parte degli imprenditori ad investire nel Sud.

Pensare a nuovi tipi di incentivi potrebbe essere la soluzione?
La politica degli incentivi finora non ha sanato il divario, ma al momento non ci sono ricette confezionate. È però il momento di capire che solo le regioni meridionali offrono ancora aree disponibili agli insediamenti industriali. Il resto dell’Italia è ormai in larga parte saturo, e nel meridione c’è anche una manodopera scolarizzata e disponibile a lavorare nelle imprese industriali. Esistono insomma, spazi di crescita per il Sud. Saturare tali possibilità sarebbe un vantaggio per l’intero Paese.

Dica la verità. Sugli “spazi di crescita” ha in mente qualche suggerimento.
Si possono approntare molti correttivi. Ma è necessario porsi le giuste domande. In primo luogo bisogna chiedersi quali siano le infrastrutture più utili allo sviluppo delle medie imprese, se quelle fisiche o quelle immateriali. Non abbiamo risorse per tutto, e per questo occorre darsi delle priorità.

Priorità? Approfondiamole.
Bisogna ragionare sulle modalità per migliorare le condizioni ambientali sia dal punto di vista burocratico che, e soprattutto, sotto l’aspetto dell’ordine pubblico e della sicurezza delle imprese. E poi ragionare sugli stimoli che la politica economica può offrire per agevolare la nascita e la crescita delle medie imprese.

Come?
Si può agire sulla domanda pubblica. Ad esempio, per alcuni grandi investimenti si possono organizzare consorzi di enti in modo da fare progetti a lungo termine. E infine bisogna chiedersi se può essere proficua la creazione di una agenzia pubblica capace di fornire servizi utili alla nascita e allo sviluppo della media impresa.

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