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(In)ter(per)culturando: ’Cuore di madre’ di R. Alajmo

A Cosimo dicono di tenerlo con sé. Nient’altro. Gli dicono che torneranno a prenderlo. Promettono denaro, per tenerlo, e Cosimo sa che di quei soldi ha bisogno perché all’officina in cui lavora non viene mai nessuno. Si dice che Cosimo ‘porti male’. Ma i giorni passano e nessuno si presenta alla casa di campagna. Il bambino dapprima tenta ribellioni, rifiuta, piange, morde. Poi scivola in un’accettazione passiva. La madre sospetta, del figlio conosce ogni sfumatura, per questo figlio mobilita voci e prepara contenitori di cibo pronto. La madre scopre il bambino e prende in mano la situazione. Aspetta al posto del figlio che tornino a prenderlo. Gestisce tempi, pasti e ragionamenti. Ma nessun’altro va alla casa in campagna, perché non c’è più nessun bambino da riprendere.

‘Cuore di madre’ di Roberto Alajmo (Mondadori, I’edizione Gennaio 2003), è la storia di una dipendenza intramontabile, di due crescite ’bloccate’, una per l’aggrovigliamento di un cordone ombelicale mai reciso, l’altra per mano d’una realtà che non ammette intromissioni.

Il ’cuore’ di questa madre è annegato da tonnellate di parole, logiche spezzate, abitudini serrate e la necessità di vivere con e per un figlio per l’appunto ’bloccato’ da quello stesso cuore.

Un figlio ormai adulto fatto nelle forme ma non nelle sostanze, incapace di scegliere alcunché men che meno di stabilire confini tra il se stesso che dovrebbe esserci e il resto del mondo compresa sua madre con la differenza che del resto del mondo riesce a fare a meno isolandosi, ma di sua madre ha bisogno continuamente e in molti modi.

Un romanzo all’apparenza statico, che attraverso lingua e ritmo, delinea logiche e snodi per nulla scontati, dove ciò che ci si aspetta si frantuma in ogni nuova pagina perché nulla di quello che potrebbe, poi si realizza. Al punto che perfino la morte è argomento e meccanica al pari di ogni altra azione e dinamica del vivere come mangiare, lavorare e riposare. Madre e figlio non hanno bisogno di null’altro che se stessi, tenersi uniti, mantenere riti e discussioni dagli schemi consolidati.

Lo stile di Alajmo è asciutto e cadenzato, un ritmo costante, che non muta ma incalza, le frasi scivolano, rimbombano. Un romanzo che si legge in fretta, la tensione palpabile ne alimenta suspense e curiosità, l’ironia a tratti destabilizza.
La scrittura di Alajmo non è accusa, non attinge a morali preconfezionate. La voce del narratore non giudica, espone. E lo fa con lucida freddezza, lasciando ampi spazi a dettagli, spiegazioni di quel mondo attorno che i due protagonisti appena sfiorano, un mondo che c’è ma quasi non li riguarda.

E’un cuore teneramente crudele, quello che si espone delineandosi definitivamente nelle ultime pagine, in un finale che trascina il lettore verso un abisso incomprensibile, verso gesti e azioni proposte con la lenta normalità dell’irreale.

Alajmo è in grado di far entrare il lettore in ogni piega, in ogni racconto che si dirama dalla trama principale e lo fa con una lingua apparentemente grezza, ripetitiva che però nasce dall’abilità lucida di uno scalpello fine.
La potenza dei dialoghi è tutta tra battute proposte con semplicità, senza eccessi o imprevedibilità fatta eccezione per quei significati affogati da una comunicazione ormai chiusa, una traiettoria unidirezionale che dal ’cuore di madre’ espande tentacoli.
Non c’è niene di più forte, stabile e duraturo del cuore di una madre che tale vuole restare per sempre.


Una storia dura, dolorosa, narrata con la potenza d’una lingua che non si nasconde. Una storia fin troppo onesta per lasciare indifferenti.
Il romanzo ha ottenuto diversi riconoscimenti, ma oggi, a distanza di sette anni dalla sua pubblicazione, resta al di là di premi e altri applausi ufficiali. Resta ignorando targhette e onoreficenze.

Alla fine, nulla è cambiato. «Qua siamo.» dice Cosimo. Nulla cambia per lui e per quel cuore. Nemmeno davanti al corpo e alla vita di un bambino che, come ogni altra cosa ’oltre’ loro, può essere comunque allontanato, lasciato fuori di casa.

«Ma lui, mischino, non è che ‘sti cose li capisce. È un bambino, che deve capire? Piuttosto, parliamo di cose serie… Come facciamo, qua?»
Cosimo era attento ai gol e si è lasciato sorprendere dalla domanda.
«Come facciamo in che senzo?»
«Nel senzo di che vuoi fare col bambino?»
«Questo non lo so…»
«Se vuoi, posso rimanere qua e ti do aiuto»
«Non voglio che ti preoccupi…»
«Che preoccupazione? Sei mio figlio o no?»
«Allora…»
L’ultima parte della conversazione si è svolta tra madre e figlio senza che nessuno dei due si muovesse, senza che nessuno dei due per darsi un contegno accavallasse le gambe o si toccasse i capelli. Entrambi si rendono conto che è un passaggio importante. Ormai si sono capiti e restano solo da stabilire i dettagli.
(pag.123 – Cuore di madre di Roberto Alajmo, Mondadori)

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