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 Home page > Tribuna Libera > In tempo di crisi un imperativo morale: guardarsi dai curanderos!

In tempo di crisi un imperativo morale: guardarsi dai curanderos!

Della crisi mi sto facendo un’idea precisa: il rischio maggiore viene da chi dovrebbe curarla. La crisi e l’attacco speculativo all’Italia costituiscono più di quanto la Confindustria o il peggior governo degli ultimi 150 anni osassero sperare per procedere più in fretta con le ricette del liberismo omicida, in un clima di unità nazionale che discende da fattori diversi (il senso di patriottismo che il “pericolo” comunica, gli appelli di Napolitano, le “indicazioni” dell’Unione europea, l’inanità delle opposizioni parlamentari, la complicità dei sindacati con il capitale) ma che alla fine ha una conseguenza sola: la svendita del welfare, e di tutto ciò che in Italia è pubblico, a vantaggio dei ricchi e a danno di tutti gli altri.

Lo straordinario risultato dei referendum, che hanno detto no alla privatizzazione dei beni comuni, è sembrato ad alcuni – e potrebbe persino essere – il segnale di un cambio di rotta; un cambio di rotta che gli attuali timonieri stanno facendo di tutto per evitare, anche coinvolgendo chi per il referendum si era speso con energia – la Cgil – o con semplice opportunismo - il Partito democratico.

Il primo passo è stato l’accordo del 28 giugno, che ha riavvicinato la Cgil a alla Cisl e alla Uil (sindacati definiti, fino al giorno prima, «complici» del governo e dei padroni) e ha visto Susanna Camusso – che neanche un mese prima aveva proclamato lo sciopero generale – concordare con Confindustria misure che mettono in forse il diritto di sciopero e vanificano, nei fatti, i contratti nazionali di lavoro (unica consolazione: a settembre gli iscritti Cgil potranno esprimersi sull’accordo e, mi auguro, bocciarlo).

Il secondo passo è stato il documento intitolato «Proposte delle parti sociali» e presentato, qualche giorno fa, da Emma Marcegaglia a nome tanto degli imprenditori quanto dei sindacati, Cgil compresa. Infatti, nonostante i distinguo di Camusso, che sono venuti a posteriori e che non so in che conto tenere, il documento presentato lo scorso 4 agosto è devastante perché deliberatamente subordina la politica alle esigenze di bilancio, pretende la svendita del Paese (un po' sul modello greco), per l'ennesima volta impone rotta e timonieri, anziché rilevare la necessità di un ruolo più attivo del cittadino nel determinare quelle scelte che condizioneranno il suo futuro.

Nel dettaglio, i 6 punti del documento prevedono innnanzitutto il pareggio di bilancio nel 2014, imponendo alla popolazione la solita cura a base di lacrime e sangue, una cura che rischia di essere senza fine, visto che il documento propone di rendere il pareggio di bilancio un obbligo costituzionale. Come si raggiunge l'obiettivo è specificato subito dopo: aumentando la produttività del pubblico impiego (la retorica brunettiana dei fannulloni), modernizzando (leggi privatizzando, meglio ancora: eliminando) il welfare, riducendo i costi della politica (giusto, ma quanto incidono realmente?), riducendo i costi delle assemblee elettive e degli organi dello Stato (di che si tratta esattamente? Siamo sicuri che sia una bella cosa? Qui non si parla soltanto di stipendi e auto blu), eliminando le province (tutte o solo quelle assurde?), accorpando i piccoli comuni (il cittadino ci guadagna o ci perde?). Occorre poi «un grande piano di liberalizzazioni e privatizzazioni» (il Paese è in vendita! il contrario della cura che ci vorrebbe davvero, perché anni di selvaggio West dovrebbero averci mostrato quanto onesti, efficienti e animati da senso civico siano i nostri imprenditori!). Addirittura, bisognerebbe «avviare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico [...] Incentivare gli enti locali a dismettere patrimoni immobiliari e società di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi per spese d’investimento superando gli attuali vincoli del Patto di Stabilità»: fare cioè l'opposto rispetto a quanto indicato dai cittadini con il referendum sui beni comuni.

Ci sono nei 6 punti diverse altre bestialità, come ad esempio l'indicazione a proseguire «l'impegno per modernizzare le relazioni sindacali», cioè sopire il conflitto, nella convinzione - così di moda - che i lupi, le pecore e i cavoli possano attraversare il fiume assieme, sulla stessa barca, e giungere sicuri all'altra riva. Basta un po' di buona volontà, anzi: di «responsabilità».

Lo avevo già scritto e mi ripeto: siamo noi cittadini che dobbiamo vigilare, ragionare, manifestare per impedire che, dopo la straordinaria vittoria del 12 e 13 giugno, tutto torni come prima. Dobbiamo recuperare spazi di cittadinanza attiva. Dobbiamo rifiutare un modello che ha generato la crisi e si propone ora di risolverla.

La vignetta di questo articolo è opera di Ronnie Bonomelli e raffigura Dooh Nibor (Robin Hood al contrario), il fuorilegge che ruba ai poveri per tenersi tutto.

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