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In memoria di Albert Woodfox, che trascorse 43 anni in isolamento carcerario

Albert Woodfox, l’uomo che trascorse più anni in isolamento carcerario nella storia degli Usa, è morto giovedì a 75 anni dopo aver contratto il Covid-19.

Ingiustamente condannato, insieme ad altri due imputati, per l’omicidio di un secondino del carcere di Angola, in Louisiana, Woodfox aveva trascorso 43 anni in una minuscola cella d’isolamento prima che, nel 2016, venisse rilasciato.

In prigione, prima dell’omicidio, Woodfox aveva stretto profonda amicizia con Herman Wallace. I due avevano fondato una cellula delle Pantere nere e avevano animato proteste contro il trattamento dei detenuti neri e il lavoro forzato cui erano sottoposti: raccogliere il cotone nelle piantagioni circostanti, con i ceppi ai piedi e senza ricevere un salario.

Wallace venne scarcerato nel 2013 perché malato terminale di cancro e morì due giorni dopo aver ritrovato la libertà.

In un’intervista al Guardian di qualche anno fa, rispondendo alla domanda su come avesse potuto sopravvivere per oltre quattro decenni in un buco, rispose:

“Avevano progettato quelle celle come delle stanze della morte e noi le trasformammo in scuole, in luoghi di dibattito. Usammo il tempo per progettare gli strumenti necessari a sopravvivere, a essere parte della società e dell’umanità piuttosto che essere arrabbiati e amareggiati e consumati dal desiderio di vendetta”.

Da una cella d’isolamento all’altro, le parole correvano lungo i corridoi.

Nonostante la crudeltà istituzionale rovinatagli addosso per quasi mezzo secolo, Woodfox era un incurabile ottimista. In un suo libro scrisse:

“Ho speranza nell’umanità, in un futuro in cui il dolore, la sofferenza, la povertà, lo sfruttamento, il razzismo e l’ingiustizia saranno solo un ricordo del passato”.

 

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