Impegnarsi a ragion veduta. E vincere contro la censura dei manifesti “Senza D” a Verona
Una vittoria storica per l’Uaar (e non solo): il Comune di Verona condannato dalla Corte d’appello per aver censurato i manifesti della campagna “Viviamo bene senza D”. Un risultato importante per la libertà di espressione in Italia: il segretario dell’associazione Roberto Grendene ripercorre questa battaglia legale sul numero 2/23 di Nessun Dogma.
Facciamoci i complimenti. Ci siamo impegnati per dieci lunghi anni, abbiamo sostenuto ingenti spese legali, non ci siamo fermati di fronte al doppio esito negativo dei primi due gradi di giudizio.
E alla fine è arrivata la sentenza definitiva della Corte d’appello di Roma che condanna senza mezze misure l’illiberale censura che il Comune di Verona aveva inflitto all’Uaar e alla libertà d’espressione, discriminando perché a chiedere di esercitare questo diritto fondamentale nello spazio pubblico era stata, guarda caso, un’organizzazione che rappresenta atei e agnostici.
Un breve riepilogo: nel 2013 la giunta leghista guidata da Flavio Tosi (ora deputato di Forza Italia) dice no all’affissione dei manifesti della campagna Viviamo bene senza D (vedi figura) perché trasmetterebbero «un messaggio potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione».
Tribunale e Corte d’appello di Roma confermano la legittimità della censura. Poi la storica svolta del 2020 dinanzi alla Suprema corte di cassazione, che stabilisce che atei e agnostici e organizzazioni che li rappresentano sono tutelati non solo dall’articolo 21 della Costituzione ma, al pari dei credenti e delle confessioni religiose, dall’articolo 19.
Eccoci arrivati al «così deciso in Roma il giorno 9 febbraio 2023». La Corte d’appello non poteva che pronunciarsi all’interno dei binari dell’ordinanza della Cassazione.
Visto però che numeri e parole sono importanti, anche e soprattutto nelle sentenze, leggiamone alcuni: la Corte «dichiara il carattere discriminatorio della condotta del Comune di Verona», ordina «l’affissione dei dieci manifesti richiesta dall’Uaar in data 31 luglio 2013» e la pubblicazione della sentenza «sul Corriere della Sera, a spese del Comune», condanna «il Comune di Verona al risarcimento del danno in favore della Uaar che si liquida nella misura di euro 50.000,00» e «al rimborso in favore della Uaar delle spese dei precedenti gradi di giudizio» e «per questo grado del giudizio» per un totale di 32.010,00 euro.
Una vittoria senza mezze misure, come già detto. E per un mondo migliore per tutti. Perché sarebbe stata altrettanto illiberale e contraria agli articoli 19 e 21 della Costituzione una (irrealistica) censura ai danni dei manifesti della campagna ioti.it delle chiese cristiane evangeliche, che riportavano la firma “Dio” sotto frasi come «io ti conosco», «io ti amo», «io ti cerco».
Potrà infastidire e far pensare allo stalking, ma rientra nell’ambito della libertà di espressione, di religione e di correlato diritto di farne propaganda anche in forma associata.
Visto il successo ottenuto, passiamo ad altre battaglie? Non proprio, perché parafrasando Gandhi possiamo dire che prima fanno finta che non esisti, poi ti combattono, poi vinci, ma mai abbandoneranno la tentazione di deriderti.
Le edizioni venete del Corriere della Sera hanno infatti sintetizzato la sentenza nel titolo «essere atei è una fede». Sembrerebbe ovvio ma non lo è: se l’uguaglianza è a fondamento della Repubblica non può esserci qualcuno che è più uguale di altri. Deridere il riconoscimento di diritti ad atei e agnostici perché «Lo vedete? Vogliono avere una fede religiosa!» segue lo stesso infantile sragionamento di chi deride il riconoscimento del matrimonio egualitario perché «Lo vedete? I gay vogliono essere marito e moglie!».
Per cui non è certo finita, ma intanto festeggiamo un grande passo avanti che solo l’Uaar in Italia poteva far in modo che fosse compiuto. Ringraziamo gli avvocati Fabio Corvaja e Francesca Leurini e la responsabile delle iniziative legali Uaar Adele Orioli. E i sostenitori della nostra associazione, senza i quali non sarebbe stato possibile un tale impegno a ragion veduta.
Roberto Grendene
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