Il trattato di Osimo, che pose fine a trent’anni di tensioni tra Italia e Jugoslavia
Firmato in fretta e furia, non se ne diede più di tanto notizia eppure fu determinante per mettere la parola fine, in teoria, alle vicende dei confini nel confine orientale italiano. Il 10 novembre del 1975 nella cittadina di Osimo, nelle Marche, si consumò quello che per tanti ancora oggi viene definito come un tradimento, per altri, come la giusta parola fine ad una vicenda iniziata nel maggio del 1945, la contesa delle terre nel confine orientale italiano.
Soddisfazione a Belgrado Belgrado, 10 novembre. Soddisfazione a Belgrado per la definitiva sistemazione della Zona B. Si fa notare che, compiuti i vari adempimenti che consentivano la firma degli accordi fra Italia e Iugoslavia (soprattutto dopo l'approvazione da parte del Mec del protocollo relativo alla zona industriale franca di Trieste), le due diplomazie avevano in questi ultimi giorni intensamente lavorato per l'elaborazione dei testi definitivi, cosicché nessuna remora esisteva più per l'atto solenne della firma tra il ministro degli Esteri italiano, Rumor, e il vicepresidente del Consiglio jugoslavo e segretario federale agli Esteri Minic
Forse le reazioni più dure furono a Trieste che a Capodistria, poiché in Istria oramai prevaleva la rassegnazione ad una situazione consolidata come evidenziavano le parole del Sindaco di Capodistria di allora quanto quelle del presidente del consiglio esecutivo dell'assemblea comunale capodistriana. «Nessuno ci ha avvertito, abbiamo saputo della firma dai giornali» dice Darjo Valentie al giornalista della Stampa, presidente del consiglio esecutivo dell'assemblea comunale di Capodistria. «Nella sostanza niente è cambiato — afferma Darjo Valentie —. Le cose restano come prima, ma tutti speriamo che i rapporti tra i due Paesi possano trarre benefici dalla pacifica soluzione di questa situazione anomala». Il sindaco di Capodistria Mario Abram, rilevò invece che «i rapporti con l'Italia saranno ancor più sviluppati adesso che è caduta ogni possibilità di attrito».
Ricordiamo che a Capodistria rimasero circa mille italiani accanto a 34 mila sloveni, ed erano meno di ottomila i connazionali rimasti in Istria rispetto ai 250 mila che vi si trovavano alla fine della guerra. Come ricorda la Stampa " la maggior parte, avvalendosi della clausola del memorandum di Londra del 1954 che concedeva loro il diritto di opzione, aveva scelto la dolorosa soluzione di abbandonare le loro cose per trasferirsi in Italia. Quelli che sono rimasti, parte per non abbandonare la terra in cui erano nati, parte per motivi ideologici, da più di vent'anni sono a tutti gli effetti cittadini jugoslavi e questo spiega il loro apparente disinteresse sui recenti accordi di confine. «La minoranza italiana si è ben inserita nella società jugoslava», mi assicura il presidente del consiglio. I diritti degli italiani sono tutelati dalla Costituzione della Repubblica slovena che gli dedica ben due pagine".
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