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Il trattato di Osimo, che pose fine a trent’anni di tensioni tra Italia e Jugoslavia

Firmato in fretta e furia, non se ne diede più di tanto notizia eppure fu determinante per mettere la parola fine, in teoria, alle vicende dei confini nel confine orientale italiano. Il 10 novembre del 1975 nella cittadina di Osimo, nelle Marche, si consumò quello che per tanti ancora oggi viene definito come un tradimento, per altri, come la giusta parola fine ad una vicenda iniziata nel maggio del 1945, la contesa delle terre nel confine orientale italiano.

 Atto che divise definitivamente alcuni territori, pose fine ai sogni del Territorio Libero di Trieste. Il Trattato di Osimo. Firmato il 10 novembre del 1975, dopo il Memorandum di Londra, e solo un mese dopo il via libera del Parlamento, ancora oggi fa discutere. Tra chi lo definisce quasi come una sorta di atto di tradimento per la patria, perché c'era chi sperava ancora di riprendersi quelle terre occupate dal Regno d'Italia dopo la fine della prima guerra mondiale, chi lo maledice per la questione della mancata costituzione del Territorio Libero di Trieste e chi lo considera come la giusta pietra tombale alle vicende del confine orientale, una conseguenza dei crimini compiuti dal fascismo che ha trascinato l'Italia in una disastrosa guerra, persa, cosa che mai si ricorda. L'incontro avvenne nell'antico convento di San Silvestro, del Duecento, restaurato nel Cinquecento dalla famiglia Leopardi. La cerimonia, come ricorda la Stampa dell'epoca, doveva svolgersi ad Ancona, ma essendo la prefettura inagibile, dopo il terremoto del 1972 si decise per Osimo. Le due delegazioni, quella italiana e quella jugoslava, si erano incontrate prima all'aeroporto di Rimini, jugoslavi arrivavano da Belgrado; gli italiani da Roma. Un corteo di quindici limousine ed una cerimonia che si concluse con scambi di lettere in materia di cittadinanza, riconoscimento di diplomi universitari, beni culturali ed opere d'arte, nonchè con l' apertura di due nuovi valichi di frontiera, a Gorizia. Il ministro Rumor disse: «Le intese odierne chiudono definitivamente, nelle relazioni italo-jugoslave, un capitolo che nell'arco del trentennio post-bellico ha alternato fasi di contrapposizione aspra a fasi gradualmente sempre più intense e sicure di dialogo costruttivo e di tangibile collaborazione». Venne diffusa anche una nota diplomatica sintetica ma che ben spiegava il quadro della situazione:
 
Soddisfazione a Belgrado Belgrado, 10 novembre. Soddisfazione a Belgrado per la definitiva sistemazione della Zona B. Si fa notare che, compiuti i vari adempimenti che consentivano la firma degli accordi fra Italia e Iugoslavia (soprattutto dopo l'approvazione da parte del Mec del protocollo relativo alla zona industriale franca di Trieste), le due diplomazie avevano in questi ultimi giorni intensamente lavorato per l'elaborazione dei testi definitivi, cosicché nessuna remora esisteva più per l'atto solenne della firma tra il ministro degli Esteri italiano, Rumor, e il vicepresidente del Consiglio jugoslavo e segretario federale agli Esteri Minic
 

 

Forse le reazioni più dure furono a Trieste che a Capodistria, poiché in Istria oramai prevaleva la rassegnazione ad una situazione consolidata come evidenziavano le parole del Sindaco di Capodistria di allora quanto quelle del presidente del consiglio esecutivo dell'assemblea comunale capodistriana. «Nessuno ci ha avvertito, abbiamo saputo della firma dai giornali» dice Darjo Valentie al giornalista della Stampa, presidente del consiglio esecutivo dell'assemblea comunale di Capodistria. «Nella sostanza niente è cambiato — afferma Darjo Valentie —. Le cose restano come prima, ma tutti speriamo che i rapporti tra i due Paesi possano trarre benefici dalla pacifica soluzione di questa situazione anomala». Il sindaco di Capodistria Mario Abram, rilevò invece che «i rapporti con l'Italia saranno ancor più sviluppati adesso che è caduta ogni possibilità di attrito». 

Ricordiamo che a Capodistria rimasero circa mille italiani accanto a 34 mila sloveni, ed erano meno di ottomila i connazionali rimasti in Istria rispetto ai 250 mila che vi si trovavano alla fine della guerra. Come ricorda la Stampa " la maggior parte, avvalendosi della clausola del memorandum di Londra del 1954 che concedeva loro il diritto di opzione, aveva scelto la dolorosa soluzione di abbandonare le loro cose per trasferirsi in Italia. Quelli che sono rimasti, parte per non abbandonare la terra in cui erano nati, parte per motivi ideologici, da più di vent'anni sono a tutti gli effetti cittadini jugoslavi e questo spiega il loro apparente disinteresse sui recenti accordi di confine. «La minoranza italiana si è ben inserita nella società jugoslava», mi assicura il presidente del consiglio. I diritti degli italiani sono tutelati dalla Costituzione della Repubblica slovena che gli dedica ben due pagine".

mb

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