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Il “tirare a campare” del governo Monti


L’unico vero merito che mi sento di poter riconoscere a Mario Monti, dopo 12 mesi della sua permanenza a Palazzo Chigi, è quello di aver fatto sì che l’Italia ritornasse ad avere audience nei contesti internazionali. Scambiare, però, come fanno molti, l’audience con maggior prestigio, mi sembra, in verità, una forzatura. Dovrà passarne acqua sotto i ponti, prima che il nostro Paese possa riacquisire credito politico a livello internazionale, dopo il ventennio berlusconiano, specialmente perché le prospettive di ciò che potrebbe accadere sulla scena politica italiana, dopo le elezioni 2013, non concedono certo spazio all’ottimismo.

Fatta questa premessa, però, non mi sembra che il governo tecnico, guidato da Mario Monti, abbia corrisposto alle attese di molti italiani. È pur vero che l’eredità, lasciata dagli anni del berlusconismo, era assolutamente fallimentare, e questo è innegabile. Con serena obiettività, nondimeno, occorre riconoscere che l’azione del governo Monti, in questi mesi, si è rivelata forte e determinata solo nei confronti degli strati più deboli e già provati del Paese, dimostrando, invece, altrettanta debolezza e soggezione verso i cosiddetti poteri forti.

Eppure Monti, nel marzo scorso, durante il suo viaggio in Corea, aveva dichiarato che “se le forze sociali e politiche non fossero state pronte” ad affrontare la stagione di riforme, il suo governo non avrebbe “tirato a campare” e lui non avrebbe chiesto di continuare pur di “arrivare ad una certa data”. Per la miseria, avevamo pensato in molti, ecco uno che ha gli attributi giusti per rigenerare e ritemprare il Paese. 

In molti di noi nacque una speranza che, purtroppo, settimana dopo settimana, si è trasformata in frustrazione. Era legittimo attendersi, infatti, che dopo aver bastonate le classi più deboli, con la riforma delle pensioni, l’introduzione dell’IMU sulla prima casa, accise a gogò sui carburanti, e cento altre amarezze del genere, il governo Monti dimostrasse il suo rigore anche sui altri temi, utili al Paese ed alla sua economia reale. Invece, nulla è stato fatto, ad esempio, per ridurre realmente gli indecenti costi della politica, intervenendo a gamba tesa per limitare il numero ed i privilegi dei parlamentari. Così come alle Banche è stato permesso di rimpinguare i loro profitti, speculando con i miliardi di euro ricevuti da BCE, invece di imporre loro di usare gli euro della BCE per dare fiato all’economia reale. E, sempre a proposito di Banche, il governo ha lasciato che, su correntisti e piccoli risparmiatori, continuassero a gravare spese e costi bancari che sono i più esosi d’Europa.

Il Governo, d'altra parte, non ha neppure battuto ciglio davanti all’annacquamento del processo di liberalizzazioni, imposto da lobbies, ordini professionali e cricche varie, rinunziando, così, alla possibilità di creare nuove opportunità di lavoro. E cosa dire della strombazzata asta delle frequenze televisive, che è silenziosamente scomparsa dall’agenda di governo, facendo venir meno risorse finanziarie che avrebbero potuto essere utili, ad esempio, per non penalizzare alcune spese sociali? Per non dimenticare la riscossione dell’IMU, sugli edifici con destinazione commerciale di proprietà della Chiesa, che resta a tutt’oggi un obiettivo improbabile se non, addirittura, una presa in giro degli italiani e dell’Unione Europea. E, tra queste esemplificazioni, non si può ignorare l’incompleta ed insoddisfacente formulazione delle norme per la lotta alla corruzione, nonostante il quotidiano emergere di spregevoli episodi. Insomma, mi domando se la rinunzia a gestire con risolutezza e coerenza questi, così come molti altri temi, di fatto non sia stato, per il governo Monti, un vero e proprio “tirare a campare”.

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