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Il sultano Erdogan e la legge degli atei

Il go­ver­no del pri­mo mi­ni­stro tur­co Re­cep Tayy­ip Er­do­ga­nia si di­stin­gue or­mai per il ri­tor­no del­l’i­slam in po­li­ti­ca, in un pae­se tra­di­zio­nal­men­te lai­co. Lo sman­tel­la­men­to pro­gres­si­vo del­la ri­gi­da lai­ci­tà ere­di­ta­ta da Ata­turk per ope­ra del par­ti­to al po­te­re di ispi­ra­zio­ne isla­mi­ca, l’A­KP, ha su­sci­ta­to una de­ci­sa rea­zio­ne da par­te del­la so­cie­tà ci­vi­le, cul­mi­na­ta in pro­te­ste di piaz­za. Una del­le ul­ti­me ini­zia­ti­ve è aver tol­to il ban­do sul velo ne­gli uf­fi­ci pub­bli­ci: per con­tro, ac­ca­de che ven­ga li­cen­zia­ta una pre­sen­ta­tri­ce, Gözde Kan­su, dopo che un espo­nen­te del go­ver­no si è la­men­ta­to per­ché era ap­par­sa in tv “trop­po scol­la­ta”.

Erdogan-Ataturk

For­se nel ten­ta­ti­vo di vei­co­la­re un’im­ma­gi­ne più con­ci­lian­te, il pre­mier Er­do­gan ha fat­to un’e­ster­na­zio­ne che va in­con­tro alle con­fes­sio­ni re­li­gio­se di mi­no­ran­za e per­si­no agli atei. Nel con­te­sto di un ce­ri­mo­nia di inau­gu­ra­zio­ne di al­cu­ne strut­tu­re a Özalp, nel­la pro­vin­cia di Van, ha det­to che la po­li­ti­ca deve man­te­ne­re “la stes­sa di­stan­za da tut­ti i grup­pi et­ni­ci”, mes­si sul­lo “stes­so pia­no”. “Inol­tre non so­ste­nia­mo il na­zio­na­li­smo re­li­gio­so”, ha ag­giun­to, “in al­tre pa­ro­le, pro­teg­gia­mo la leg­ge isla­mi­ca, la leg­ge cri­stia­na, la leg­ge ebrai­ca e an­che la leg­ge de­gli atei”. “Non ci sarà al­cu­na se­gre­ga­zio­ne”, ha af­fer­ma­to, “man­ter­re­mo l’e­qui­li­brio con l’a­iu­to di Dio”.

La zona dove Er­do­gan ha fat­to que­ste con­si­de­ra­zio­ni è ar­me­na, con una com­po­nen­te cri­stia­na e dove sono an­co­ra aper­te le fe­ri­te del ge­no­ci­dio. Ac­cen­nan­do alla ria­per­tu­ra per il cul­to nel 2007 del­la chie­sa di cul­to ar­me­no sul­l’i­so­la di Ak­da­mar, il pri­mo mi­ni­stro ha so­ste­nu­to che è “do­ve­re” del go­ver­no far sì che ogni grup­po ab­bia l’op­por­tu­ni­tà di pra­ti­ca­re la pro­pria re­li­gio­ne.

In real­tà le aper­tu­re di Er­do­gan sem­bra­no piut­to­sto vol­te a sdo­ga­na­re in Tur­chia il mul­ti­con­fes­sio­na­li­smo, con­ce­den­do alle re­li­gio­ni di mi­no­ran­za al­cu­ne li­ber­tà ri­spet­to alle re­stri­zio­ni del pas­sa­to, al fine di le­git­ti­ma­re an­co­ra me­glio il pro­gram­ma di isla­miz­za­zio­ne. L’ap­proc­cio pare in­di­ce di una cer­ta no­stal­gia ver­so il si­ste­ma dei mil­let che vi­ge­va nel­la Tur­chia ot­to­ma­na, in cui gli espo­nen­ti del cle­ro ave­va­no fun­zio­ni po­li­ti­che e di rap­pre­sen­tan­za al­l’in­ter­no del­la pro­pria con­fes­sio­ne, al­l’in­se­gna del co­mu­ni­ta­ri­smo re­li­gio­so. In que­sto con­te­sto, i non cre­den­ti ri­man­go­no l’ul­ti­ma ruo­ta del car­ro e sono tut­to­ra i più pe­na­liz­za­ti, come di­mo­stra il caso del pia­ni­sta Fa­zil Say, de­nun­cia­to e con­dan­na­to a die­ci mesi per aver pub­bli­ca­to su in­ter­net al­cu­ni tweet iro­ni­ci ver­so l’i­slam.

La que­stio­ne, com’è sta­ta pre­sen­ta­ta da Er­do­gan, ci pare an­che mal­po­sta, per­ché gli atei e agno­sti­ci per de­fi­ni­zio­ne non han­no dog­mi né han­no bi­so­gno di leg­gi “sen­za­dio”. Una sta­to aper­to, plu­ra­le e dove si ri­spet­ta­no i di­rit­ti non do­vreb­be an­da­re nel sen­so del mul­ti­con­fes­sio­na­li­smo: le nor­me che ri­spet­ta­no i non cre­den­ti sono quel­le che do­vreb­be­ro va­le­re lai­ca­men­te per tut­ti. Per­ché solo la lai­ci­tà ga­ran­ti­sce un qua­dro le­gi­sla­ti­vo in cui si può es­se­re se stes­si e dove si può con­vi­ve­re pa­ci­fi­ca­men­te e con gli stes­si di­rit­ti, a pre­scin­de­re dal cre­do re­li­gio­so o meno.

 

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