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Il secondo anno di pandemia: vaccini e varianti

Sul fronte della pandemia, il 2021 è stato caratterizzato dalla campagna vaccinale e dalla diffusione delle varianti.
 
 

Si sta per concludere il 2021, il secondo anno in cui abbiamo avuto a che fare con la pandemia di Sars-Cov-2. Rispetto al 2020 le cose sono andate molto diversamente e quest’anno è stato caratterizzato dalla diffusione delle varianti e dalla campagna vaccinale.

Gennaio-febbraio: arrivano i vaccini, ma si va a rilento

Il 27 dicembre 2020 in Italia sono iniziate le somministrazioni delle prime dosi del vaccino prodotto da Pfizer/BioNTech.

Il governo italiano guidato allora da Giuseppe Conte decise di vaccinare in base a un sistema di categorie e non utilizzando l’età come criterio, nonostante la Covid-19 sia una malattia che uccide quasi solo le persone anziane e nonostante i trial sui vaccini fossero basati sulla riduzione del rischio di sviluppare le forme gravi della malattia, mentre non era ancora chiaro quale fosse il loro ruolo nella prevenzione dell’infezione.

Questo approccio, diverso da quello degli altri principali paesi europei e unito al limitato numero di dosi a disposizione a inizio della campagna vaccinale, ha fatto sì che la popolazione over 80 abbia raggiunto un alto livello di copertura vaccinale solo tra fine aprile e inizio maggio.

Il governo e il commissario straordinario Domenico Arcuri in quei mesi vengono molto criticati sulla gestione della campagna vaccinale, ma la maggior parte delle critiche si concentra su problemi secondari, come il fisiologico ridotto numero di somministrazioni durante i fine settimana, piuttosto che sulle errate priorità della campagna. Il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa ha evidenziato, ad esempio, come la scelta di non partire a vaccinare la popolazione over 80 abbia determinato che la letalità della Covid-19 sia rimasta per mesi sensibilmente maggiore di quanto avrebbe potuto essere. 

Nel frattempo l’Italia è oggetto di una terza ondata di contagi. Le misure restrittive adottate su base nazionale dal governo alla fine dell’anno precedente avevano permesso di ridurre il numero di casi, ma la media si stabilizza poi su una base di oltre 10 mila casi giornalieri tra fine gennaio e febbraio. A fine febbraio si assiste a una progressiva crescita dei casi dovuti alla diffusione della variante Alfa (allora conosciuta come “variante inglese”).

Alfa è la prima variante preoccupante (dall’inglese Variant of Concern, VOC) del coronavirus: si diffonde in tutto il mondo, andando a sostituire il virus originario grazie a una maggiore trasmissibilità. Dopo aver causato un forte aumento di casi e decessi nel Regno Unito, Alfa ha investito il resto d’Europa, tra cui l’Italia. La diffusione della variante Alfa ha dimostrato sin da subito come l’Italia non facesse sufficiente sorveglianza genomica: per monitorare la diffusione delle varianti il Ministero della Salute ha quindi lanciato le indagini di prevalenza a partire dalla prima metà di febbraio. 

 

Febbraio-aprile: cambia il governo e si va verso le riaperture

Il governo di Mario Draghi, che ha sostituito Conte a Palazzo Chigi a febbraio, decide di adottare maggiori restrizioni al fine di rallentare l’impatto che il coronavirus sta avendo sugli ospedali. Viene quindi cambiato il sistema a colori andando a semplificare l’accesso in zona rossa e viene sospesa la zona gialla. In questo modo tra marzo e aprile tutta l’Italia si trova o in zona rossa (dove non si può uscire dalla propria abitazione, se non per motivi di necessità) o in zona arancione (dove non si può uscire dal proprio comune, salvo necessità o lavoro). Il governo a inizio marzo impone anche un maggior utilizzo della didattica a distanza e dà maggiore libertà alle regioni e province autonome nel decidere quando farvi ricorso. Nonostante un ampio dibattito sul ruolo della scuola nella pandemia, non esistono ancora certezze: se da una parte non sembra essere il motore dell’epidemia, dall’altro ci sono prove di diffusione nelle scuole. È possibile in ogni caso che le scuole alimentino il contagio quando questo inizia a diffondersi nella comunità.

fine aprile, la situzione migliora (il picco dei casi è raggiunto a fine marzo) e il governo di Draghi decide di procedere con una riapertura generalizzata. Nell’annunciare le misure, Draghi parla di “rischio ragionato” e viene accusato di sottovalutare la pandemia. La progressiva riapertura porta anche alla fine del coprifuoco, una misura la cui utilità è sempre stata contestata. 

Mentre l’Italia affronta la terza ondata, vanno avanti le somministrazioni dei vaccini. La maggiore disponibilità di dosi, il cambio al vertice della struttura commissariale (Figliuolo prende il posto di Arcuri) e un miglioramento da parte delle regioni nella gestione della macchina vaccinale permettono di aumentare sensibilmente il numero di dosi somministrate. Il 29 aprile per la prima volta si riesce a raggiungere il fatidico obiettivo delle 500 mila dosi somministrate in un giorno, ma guardando la media settimanale la soglia si supera solo un mese dopo. 

In questi mesi l’obiettivo della campagna vaccinale diventa il raggiungimento dell’immunità di gregge, cioè di quel livello di individui immuni (tramite vaccino o infezione) dopo il quale l’indice di riproduzione effettiva Rt va al di sotto di 1 e quindi a ogni ciclo di riproduzione (circa 5-6 giorni) il numero di nuovi casi si riduce. È però chiaro fin da subito che si tratta di un obiettivo estremamente complesso da raggiungere, in particolar modo perché la maggiore trasmissibilità della variante Alfa ha alzato dal 65-70% ad almeno l’80% la copertura della popolazione totale necessaria per raggiungere l’immunità di gregge. 

La campagna vaccinale in questi mesi iniziali è però messa in difficoltà anche dal vaccino prodotto da AstraZeneca e dalle contraddittorie decisioni prese dal governo. Inizialmente i dati sull’efficacia presentati dalla società farmaceutica non vengono giudicati sufficienti in Italia e lo si autorizza solo sulle persone under 50 per poi progressivamente estenderlo anche alle altre fasce di età. Si scopre inoltre che in alcuni rari casi il vaccino provoca casi di trombosi, cosa che lo rende poco affidabile agli occhi dell’opinione pubblica. Successivamente la somministrazione del vaccino viene vietata agli under 60 e si somministra la dose eterologa a chi sotto i 60 anni lo aveva ricevuto come prima dose.

 

Giugno-agosto: arrivano la Delta e il green pass

La progressiva riapertura decisa da Draghi non porta all’aumento dei casi ipotizzato da diversi esperti. I casi passano da una media superiore ai 10 mila a inizio maggio a meno di mille a inizio luglio.

A giugno il governo apre le vaccinazioni a tutte le persone sopra i 18 anni e si raggiungono picchi di 600 mila dosi somministrate al giorno. Fin da subito è evidente l’elevata adesione dei più giovani, facendo sì che nei mesi successivi i 20-29enni superino come tasso di vaccinazione anche i 50-59enni. 

Nonostante l’elevata adesione, a luglio il governo italiano decide di introdurre il green pass per una serie di attività come mangiare al chiuso e andare al cinema, in palestra o nei musei. Nel presentarlo, Draghi affermò: “Il green pass non è un arbitrio, ma una condizione per tenere aperte le attività economiche. Invito tutti gli italiani a vaccinarsi e a farlo subito”.

Tra luglio e agosto si assiste a un nuovo aumento del numero di casi, ma non è chiara la causa e la dinamica di questo aumento. Sebbene alcuni l’abbiano attribuita a Delta, secondo il matematico Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler la causa va ricercata nei comportamenti avuti dalla popolazione durante l’estate. I dati dell’Istituto superiore di sanità mostrano inoltre come è possibile che durante l’estate si abbia avuto un “effetto Europei” sui contagi. 

L’elevato livello di vaccinazione delle persone più anziane però fa sì che il numero di decessi e di ingressi in terapia rimanga molto contenuto. Il basso livello di casi gravi non alza molto i livelli di occupazione ospedaliera, permettendo a quasi tutte le regioni di rimanere in zona bianca a lungo.

Durante l’estate, il governo decide inoltre di cambiare per l’ennesima volta il sistema di monitoraggio che determina il colore delle regioni. Questa versione si basa esclusivamente sul peso ospedaliero, con la variabile dell’incidenza che può aiutare a non andare in una zona che prevede maggiori restrizioni. Il sistema a colori continua però ad essere pieno di aspetti problematici, a partire dal fatto che il numero di posti letto che determina l’occupazione è comunicato in autonomia e senza controlli dalle regioni. 

Nonostante il basso numero di casi, il sistema di tracciamento dei contatti continua inoltre a non funzionare. Il governo e le regioni non hanno infatti mai investito nel contact tracing, nonostante esso, in particolar modo a inizio pandemia, venisse descritto come la vera alternativa alle misure restrittive. Anche Immuni, l’app che avrebbe dovuto aiutare con il contact tracing, viene abbandonata definitivamente nonostante ci siano prove che avrebbe potuto aiutare. Uno studio pubblicato a maggio sulla rivista scientifica Nature (The Epidemiological impact of the NHS COVID-19 App) aveva infatti evidenziato come l’app per il contact tracing adottata nel Regno Unito abbia prevenuto migliaia di casi e decessi. 

 

Settembre-novembre: iniziano le terze dosi

A settembre in Italia iniziano le somministrazioni delle terze dosi. Durante l’estate infatti sono arrivati i primi dati da Israele, dove erano iniziate prima le vaccinazioni, mostrando che dopo cinque mesi dalla seconda dose si osserva un calo della protezione data dai vaccini, in particolar modo per quanto riguarda l’efficacia contro l’infezione.

A inizio settembre il governo Draghi ha deciso di somministrare la terza dose agli over 80 per cui erano passati almeno sei mesi dalla seconda dose, e l’8 ottobre la platea è stata allargata a tutti gli over 60, il 22 ottobre agli over 50, il 24 novembre agli over 40 e infine il 1° dicembre a tutti i maggiorenni (purché siano passati almeno cinque mesi dalla seconda dose). I dati preliminari sulla terza dose indicano che ha un’efficacia del 76% nel prevenire l’infezione del 93% nel prevenire le forme gravi della Covid-19. 

Nel frattempo il governo italiano estende progressivamente l’utilizzo del green pass rendendolo anche obbligatorio per poter lavorare; è il primo paese europeo a farlo. A novembre si decide inoltre di differenziare tra green pass “base” che si ottiene anche con il tampone e il green pass “rafforzato” che invece si può avere solo dopo la guarigione o la vaccinazione. Il primo è necessario per poter lavorare, mentre il secondo è necessario per accedere a spettacoli, eventi sportivi, per la consumazione al tavolo di bar e ristoranti al chiuso, per feste, discoteche e cerimonie pubbliche.

Tra settembre e ottobre, l’Europa è soggetta a una nuova ondata di contagi da coronavirus. Questa nuova ondata parte dai paesi dell’Est, dove i tassi di vaccinazione sono sensibilmente più bassi, per poi allargarsi a Ovest. L’Austria è il primo paese a parlare di “lockdown dei non vaccinati”, ma dopo pochi giorni allarga il lockdown a tutta la popolazione. In questa nuova fase l’epidemia in Italia va meglio che negli altri paesi, anche se con situazioni molto diverse a seconda delle regioni: il Nord-Est e in particolar modo la provincia di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia sono le zone più colpite del paese. 

 

Dicembre: arriva Omicron

Quest’ultimo mese del 2021 è caratterizzato dall’arrivo di Omicron, una variante scoperta per la prima volta in Sudafrica. Presenta una trasmissibilità sensibilmente maggiore di Delta in quanto sembra essere in grado di evadere in misura maggiore la protezione contro l’infezione che conferiscono i vaccini. 

Omicron nel Regno Unito in meno di tre settimane è diventata la variante dominante e sta provocando un aumento delle diagnosi, in particolare nella zona di Londra. La nuova ondata sta colpendo altri paesi e obbligando i governi a imporre nuove restrizioni; i Paesi Bassi sono tornati in lockdown. 

Anche in Italia i casi stanno progressivamente crescendo, ma non si riesce a monitorare in tempo reale la diffusione di Omicron in quanto si sequenziano pochissimi campioni. In generale, l’elevata copertura vaccinale e la somministrazione delle terze dosi dovrebbero riuscire a evitare i peggiori effetti di Omicron. Allo stesso tempo, un elevato numero di casi può comunque mettere sotto pressione il sistema sanitario e obbligare il governo ad adottare alcune restrizioni. 

In conclusione

Il 2021 è stato diverso dal 2020 per l’epidemia. Le misure restrittive da dopo la riapertura decisa dal governo Draghi sono state quasi nulle, e in parallelo si è via via esteso l’obbligo del green pass. Questo ha permesso alla mobilità di tornare a livelli molto vicini a quelli pre-pandemici. 

I vaccini sono riusciti ad evitare i peggiori effetti dell’ondata estiva dovuta alla variante Delta e poi a rendere meno grave la quarta ondata. L’Italia, nonostante gli errori iniziali nella gestione delle priorità, è uno dei paesi con la maggiore copertura vaccinale d’Europa e l’utilizzo del green pass ha contribuito a convincere una parte degli indecisi a vaccinarsi. 

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