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 Home page > Attualità > Politica > Il riformismo delle tangenti

Il riformismo delle tangenti

La destra, specie a partire dalle ultime tornate elettorali, politiche o amministrative che siano, suole presentarsi come una forza non condizionata da ideologismi ormai desueti.
 
Questo approccio era molto evidente, in particolare, nella campagna di Alemanno per il Campidoglio. Alemanno vinse, probabilmente, anche perché si accreditò come il pragmatico che, affrancato dai ceppi ideologici della sua parte politica, cerca di abbassare i toni del dibattito che la sinistra aveva pericolosamente elevato gridando ai “barbari in arrivo” o al torbido connubio tra “leghisti,fascisti e affaristi” (come se gli “affaristi” fossero tutti da una parte: purtroppo le vicende recenti che hanno coinvolto numerose giunte di centrosinistra dimostrano il contrario) , fino al patetico exploit di Ingrao: ”Io vi prego, vi scongiuro...” a petto del quale il “mi raccomando, nun votà Alemanno” letto sui muri di città appariva ben più diretto ed efficace. 
La deideologizzazione del dibattito politico è cosa buona e giusta se aiuta tutti a ragionare con la propria testa e non per schemi e partiti presi, a valutare le singole scelte politiche, per quanto provengano da parte avversa, con obiettività e senza pregiudizi di sorta.
 
Capisco che sarebbe una rivoluzione copernicana per un Paese abituato da secoli a dividersi tra guelfi e ghibellini e che, probabilmente, si diverte ancora in buona parte a schierarsi per l’uno o per l’altro dei contentendi televisivi, ognuno geloso detentore della verità assoluta e mai disponibile non dico ad accettare le tesi contrarie, ma nemmeno a ragionarci un attimo sopra (e difatti l’uno cerca di prevaricare l’altro, magari coprendone la voce per impedire agli utenti di ascoltare quel che dice; non per niente Omar Calabrese ha intitolato un suo saggio: “Come nella boxe. Lo spettacolo della politica in Tv".

Un divertimento fine a sé stesso, però, dal quale molti – immagino - si levino con una sensazione di inconcludenza ed inutilità di queste ipocrite esibizioni di anime belle, tutte piene di zelo e progetti per il bene pubblico, le stesse che – intercettate dai magistrati nel privato – mostrano di non sollevarsi d’un palmo dalla meschinità o peggio dei loro interessi personali e di bottega, per non parlare del linguaggio scurrile esibito, ad ulteriore conferma della loro bassezza morale (e forse il calo  degli ascolti Tv è una prova indiretta di questa crescente insofferenza: per dirne una, nell’ottobre 2005 RAI e Mediaset insieme avevano una penetrazione complessiva del 43,32 per cento della popolazione, scesa al 38,86 nel novembre di quest’anno). In ogni caso la deideologizzazione del dibattito politico nazionale sarebbe ben più apprezzabile ed apprezzata se non venisse sbandierata talvolta a sproposito, lasciando il sospetto di voler in realtà coprire corposi interessi o peggio malefatte inconfessabili.
 
Per fare un esempio che riguarda la politica internazionale ed in particolare la guerra in Irak, si può davvero liquidare come “ideologica” la tesi per cui “qualcuno” all’interno dell’amministrazione USA – e segnatamente il vicepresidente Dick Cheney, incidentalmente capo dell’Halliburton, la più grossa impresa di costruzioni del mondo – può aver fatto la semplice, banale (anche se cinica) considerazione economica per cui per poter lucrare sugli affari della ricostruzione, bisogna prima distruggerlo, il paese che si vuole ricostruire? Risultato impossibile se Saddam fosse stato eliminato in altro modo, magari con una di quelle operazioni chirurgiche che a suo tempo tolsero di mezzo personaggi di ben altro calibro.
 
Peggio ancora, la auspicata deideologizzazione perde credibilità se chi la promuove non si comporta di conseguenza.
 
E dove sono le scelte anti ideologiche di questa destra di governo che si muove solo a favore del “suo” popolo delle partite IVA abbassandone la già scarsa contribuzione fiscale con la revisione degli studi di settore e altri sbracamenti consimili, mentre nega agli altri persino la non trascendentale defiscalizzazione delle tredicesime, almeno di quelle meno ricche, pur propugnandone a parole maggiori consumi?

Sull’altro versante, ossia a sinistra , qualcuno sembra aver interpretato la svolta riformista come un allettante invito a scavalcare ogni residuo sentimento di “diversità”, ogni residua remora a copulare con l’affarismo più becero (“Ma smitizziamoli, questi parchi!”, invocava il sindaco di Firenze prima di lanciarsi a capofitto tra le braccia dell’ultima speculazione edilizia ligrestiana: ottanta ettari di verde spazzati via per far posto ad uno stadio di calcio).
 
Se il riformismo è questo, allora arridatece l’ideologia !
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 

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