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Il papa e il presidente: un Quirinale per due

Dalla fine dello Stato Pontificio chi risiede al Quirinale ha sempre avuto un rapporto molto stretto con il Vaticano. Anche grazie ai privilegi concordatari. Valentino Salvatore ha ricostruito questo secolare “flirt” sul n. 2/2022 della rivista Nessun Dogma.

Con la presa di Roma nel 1870 papa Pio IX si ritira sdegnato in Vaticano. Il generale La Marmora, luogotenente dei Savoia, prende possesso del palazzo del Quirinale con un fabbro. Il cardinale Antonelli, segretario di stato, si rifiuta infatti di aprire le porte. Ieri con i re e oggi con i presidenti della repubblica, il Quirinale farà sempre i conti con il Vaticano, e dovrà instaurare fitti rapporti con l’altro massimo esponente politico di Roma: il papa.

Gli “anticlericali” Savoia non occupano il Vaticano e non cancellano tutte le prerogative del clero. Anzi concedono le cosiddette “guarentigie” (garanzie). Al papa non basta. Dopo anni di non expedit, il Vaticano esce dall’isolamento col declino dell’Italia liberale. Scende a compromessi con il fascismo. I patti lateranensi nel 1929 con Mussolini fruttano al papato uno stato riconosciuto, lauti risarcimenti, influenza sulla scuola.

Dopo la guerra questi patti non si archiviano. Anzi, sono blindati nella costituzione repubblicana con largo consenso parlamentare. Per la «pace religiosa», si dice da sinistra a destra: «innaturale connubio» tra Pci e Dc per Ernesto Rossi, europeista antifascista esponente del partito d’azione. L’articolo 7 è approvato il 26 marzo 1947. Pio XII si intromette nel dibattito parlamentare e i gesuiti stilano proposte costituzionali con il cattolicesimo religione di stato. De Gasperi, il leader Dc, deve contenere le pretese vaticane.

Quindi è prevedibile che il presidente cerchi l’amicizia del Vaticano. Già il capo provvisorio dello stato e primo presidente eletto nel 1946, il liberale Enrico De Nicola, vuole andare dal papa nei primi giorni dell’insediamento. Pio XII pretende i patti lateranensi in costituzione per concedere la visita. Al suo cospetto almeno De Nicola si limita a un cenno del capo, senza inginocchiarsi.

Poco dopo il trionfo Dc nel 1948 gli succede Luigi Einaudi. Questo cattolico liberale inaugura il telegramma al papa come primo atto ufficiale e lo scambio di doni. Einaudi è in Vaticano con la moglie per la canonizzazione di santa Maria Goretti nel 1950: altro primato, a una messa e non in udienza. Torna per la canonizzazione di Pio X nel 1954, con esponenti del governo.

Nel 1955 arriva il democristiano Giovanni Gronchi, che ostenta fin da subito ossequio clericale. Ha un incontro riservato alla residenza papale di Castel Gandolfo, anche per farsi dire di non aprire il governo ai socialisti. È il primo a professarsi apertamente cattolico. Si inginocchia davanti al papa anche se il cerimoniale non lo prevede: persino Vittorio Emanuele III nel 1929 si è rifiutato. Altra usanza che inizia, il colloquio politico tra presidente e segretario di stato. Nel 1958 Gronchi va ai funerali di Pio XII. Nel 1961 saluta il nuovo papa Giovanni XXIII recandosi (per la prima volta) con la famiglia in Vaticano.

Altro fervente cattolico Dc, Antonio Segni, è eletto nel 1962. In udienza dal papa si parla del concilio vaticano secondo. Per il primo viaggio fuori dal Lazio dai tempi di Pio IX, le ferrovie dello stato forniscono al papa un treno. Il governo Fanfani vuole il placet per l’apertura al centro-sinistra e Segni è invitato al santuario di Loreto e ad Assisi, nonché all’apertura del concilio. Un’altra novità, che avvicina le sponde del Tevere: il Colle accoglie il papa nel 1963, nel clima di sintonia conciliare. Non succede dal 1939. La Rai riprende la preghiera nella cappella dell’Annunziata. Quando la salute del papa peggiora, il presidente annulla i festeggiamenti per la nascita della repubblica. Lutto con bandiere a mezz’asta quando papa Roncalli muore. La delegazione italiana è in Vaticano per i funerali.

Sale al soglio Paolo VI. Segni esprime «esultanza», lo conosce da decenni. A differenza di Gronchi, partecipa all’incoronazione. Il Vaticano ricambia: per la prima volta il papa invita ufficialmente il presidente. Altra nuova usanza: il capo di stato italiano è primo tra i colleghi stranieri a fargli visita. La delegazione si inginocchia. Tranne Segni, che così evita le polemiche toccate a Gronchi.

Un ictus colpisce il presidente, si apre la successione. Il papa fa desistere il Dc di ferro Fanfani: vuole una «rinuncia generosa». Nel 1964 quindi tocca al socialdemocratico Giuseppe Saragat. Non credente dichiarato, è però sensibile agli stimoli papali e trascendenti. Da anni conosce Montini, grato per il cordoglio espresso alla scomparsa della devota moglie. Diventa capo dello stato dopo una travagliata votazione: persino Montini all’angelus prega per superare il «momento di incertezza». I presidenti “laici” (nel senso di non democristiani) paiono ostentare un maggiore ossequio verso il papa, anche perché spesso tratta temi sociali. Saragat precisa che è un ateo «non ostile» alla chiesa ed esalta il cristianesimo. Nel 1965 è pure il primo presidente a tenere davanti al papa un discorso durante il ricevimento in Vaticano. Assicura che i patti lateranensi danno «reale soddisfazione e riconosciuto vantaggio» alle parti. Il papa ricambia con visita al Quirinale: lì nel 1966 Saragat supera i democristiani nel dire che in ogni campo c’è un «benefico riflesso» della chiesa e che il patto costituzionale ha «radici nell’etica cristiana». Ma un cruccio rimane. Quando il papa subisce un attentato a Manila nel 1970, Saragat vuole accoglierlo al ritorno. Montini declina, irritato per la sua firma alla legge sul divorzio.

Un altro democristiano, Giovanni Leone, è eletto nel 1971. Da giurista devotissimo lascia un’impronta nella costituzione. Celebra l’articolo 7, che dona «pace religiosa» e rende «impossibile ogni anacronistico steccato». In Vaticano, rassicura sul referendum contro il divorzio. C’è aria di revisione concordataria: una commissione guidata dal democristiano Guido Gonella ci lavora. Paolo VI apre a modifiche, ma solo del concordato, non dei patti lateranensi. Nel 1975, alla beatificazione del medico napoletano Giuseppe Moscati, per la prima volta il capo dello stato incontra il pontefice dopo il rito per un saluto e varca la porta santa: è l’anno del giubileo.

Travolto da polemiche, Leone si dimette nel 1978. Il socialista e partigiano Sandro Pertini viene eletto con ampio consenso. Ateo dichiarato, vuole maggior distanza col Vaticano. Al contrario di Saragat, non cita né dio né papa quando si insedia. Incontra solo in via privata Paolo VI e quando questi muore non va ai funerali, ma lo omaggia a Castel Gandolfo. Nelle poche settimane di Giovanni Paolo I riapre il dialogo. Alla morte del papa va per la prima volta in Vaticano, ma alle esequie manda il presidente del senato Fanfani. Con Giovanni Paolo II la musica cambia. Pertini è alla messa di insediamento. Diventano amici, con frequenti telefonate e visite. L’attentato al papa del 1981 li avvicina. Pertini lo invita nella tenuta di Castelporziano. Si vocifera di una confessione e di un accostamento al cattolicesimo. Sta di fatto che si arriva alla revisione del concordato a Villa Madama il 18 febbraio 1984. Le trattative iniziate nel 1976 sono concluse dal premier Bettino Craxi (altro socialista “laico”) e dal ministro degli esteri Giulio Andreotti (democristiano doc). L’incontro ufficiale di Pertini in Vaticano nel 1984, accompagnato da Craxi e Andreotti, celebra l’accordo. Per l’anniversario della repubblica il presidente invita Wojtyla al Colle. È dal 1966 che il papa non va nella sua vecchia residenza. L’idillio continua in vacanza, insieme in montagna sull’Adamello.

La palla ripassa ai democristiani, con Francesco Cossiga eletto nel 1985. La sera stessa il papa lo chiama. Prima di giurare, l’eletto prega nella cappella del pontefice. Il deputato Stefano Rodotà contesta: «a molti, e non solo per uno scatto di vecchio laicismo, non è piaciuto vederlo genuflesso davanti al papa alla vigilia del giuramento». Cossiga è stizzito: «se qualcuno non vuole che mi genufletta in privato è un fazioso e un intollerante». All’insediamento loda il contributo delle intese alla «pace religiosa». Per la prima volta un pontefice saluta il presidente durante l’angelus. Gli incontri privati tra i due sono frequenti: per Cossiga le relazioni stato-chiesa in Italia sono modello nel mondo. Nel 1991 altra novità: il capo dello stato va a palazzo Borromeo, sede dell’ambasciata d’Italia presso la santa sede, per festeggiare il concordato. La Cei una volta lo bacchetta per aver rinviato alle camere la legge su obiezione di coscienza e servizio civile: indispettito, prospetta l’abdicazione ma solo se richiesta dal papa. Il direttore della sala stampa vaticana Navarro-Valls rassicura e i vescovi tornano nei ranghi. Sulla via delle “picconate” al sistema politico e attaccato per il coinvolgimento in Gladio, anticipa al Vaticano l’intenzione di dimettersi.

Nel 1992 diventa capo dello stato il fervente cattolico Oscar Luigi Scalfaro. Si dichiara laico e si affida alla madonna per il mandato. Va detto, riconosce anche i non credenti. Il papa lo riceve in Vaticano, parlando del trattato di Maastricht e chiedendo piena attuazione del nuovo concordato. Dopo gli attentati mafiosi alle chiese, Scalfaro accompagna sul posto Giovanni Paolo II. Il presidente è a Loreto per la messa che chiude la “grande preghiera” per l’Italia durata un anno. Nel 1998 il papa è al Quirinale: per la prima volta benedice la sala e prega con il capo dello stato. Si parla del prossimo giubileo e del governo D’Alema (ma il presidente Cei Ruini è contro la svolta di sinistra). Il presidente rassicura: la chiesa è «lampada che rischiara il suo cammino», anche se le decisioni gravano sulla sua coscienza. Comunque, il papa esige la “parità” delle scuole cattoliche e provvedimenti per la famiglia. Tra gli atti conclusivi, Scalfaro va in Vaticano per la beatificazione di padre Pio – con D’Alema e svariati ministri.

Nel 1999 arriva Carlo Azeglio Ciampi: di formazione cattolica e laica, ricorda nel discorso di fine anno le «radici cristiane e umanistiche». Con lui un altro storico episodio clericale: Giovanni Paolo II a Montecitorio per un discorso a tutti i parlamentari. Invitato nel maggio 2000 dai presidenti di camera e senato, sbarca nell’emiciclo il 14 novembre 2002 quando Berlusconi è premier e presidenti di camera e senato il cattolico devoto Casini e l’ateo devoto Pera. Il papa e Ciampi si intendono su temi come famiglia, ecumenismo e radici cristiane dell’Europa. L’interventismo papale è marcato sui temi etici come l’eutanasia e sulla scuola, col supporto del segretario particolare Dziwisz e del segretario di stato Sodano. Laureato in diritto ecclesiastico su un tema d’avanguardia (per il 1946) come le minoranze religiose, Ciampi ha un’attitudine cristiana temperata di laicità, distinta dal clericalismo ostentato di altri predecessori. Per dire, fotografato mentre prende l’eucarestia decide di evitare se c’è rischio di venire immortalato. Inoltre non si inginocchia di fronte al papa e non gli bacia l’anello. Ciampi partecipa comunque alla messa natalizia e all’apertura della porta santa nel 1999, poi l’anno dopo al giubileo dei giovani a Tor Vergata. Va a pregare ad Assisi per la pace dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Per il cardinal Ruini è ritenuto dagli ambienti cattolici il miglior presidente (anche rispetto ai democristiani). Per i 25 anni del pontificato di Wojtyla è in Vaticano. Quando muore il papa nel 2005 per la prima volta un capo dello stato diffonde un messaggio di cordoglio a reti unificate.

Sale al soglio Benedetto XVI, a giugno ricevuto al Quirinale. Ratzinger esalta il «singolare equilibrio» dei patti lateranensi e proclama «legittima una sana laicità dello stato» che riconosca il ruolo sociale della religione. Su L’Unità Fabio Mussi contesta questa “laicità” ratzingeriana e Franco Grillini l’idea retriva di «familismo tradizionalista». Nel colloquio privato tra i due capi di stato, si parla dei modi per invogliare i non cattolici a frequentare l’insegnamento della religione cattolica, facoltativo (formalmente) dal nuovo concordato. Ciampi nel messaggio di fine anno del 2005 rivendica di aver «affermato la laicità» ed esalta «concordia», condivisione di valori e collaborazione tra credenti e non. Sarà sentito, con la moglie, per la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II.

Nel 2006 l’ateo Giorgio Napolitano è il primo presidente comunista. All’insediamento dice che si deve «laicamente riconoscere la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso», invocando la «collaborazione» tra stato e chiesa. Al primo incontro in Vaticano (senza soste di preghiera) il cardinal Bertone chiede sostegno per gli istituti cattolici. Per gli 81 anni di Ratzinger il presidente inizia nel 2008 l’usanza di offrire al papa a nome dell’Italia un concerto di musica classica. Napolitano rimarca, quando lo riceve al Quirinale, che Benedetto XVI è rispettato da credenti e non. Per il papa la questione romana è chiusa in maniera «definitiva e irrevocabile». Intesa clericale tra Vaticano e Quirinale anche per i 140 anni della presa di Roma. Alla breccia di porta Pia, Napolitano depone fiori mentre il discorso lo fa Bertone, che prega per i caduti delle due parti. Gli attivisti Uaar, sempre presenti alla ricorrenza, sono fermati dalla Digos. Nel 2011 Napolitano partecipa per la prima volta in Vaticano alla beatificazione di Wojtyla, trasmessa in mondovisione. Pochi giorni dopo, è all’aula Paolo VI per un concerto che solennizza insieme l’anniversario di Benedetto XVI e i 150 anni dell’unità d’Italia. Nel 2013 si dimette Ratzinger e Napolitano viene riconfermato presidente. Eletto Francesco, Napolitano è alla prima messa. Accoglie Bergoglio al Quirinale e rivendica il “dialogo” tra credenti e non. Alla doppia canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II il presidente è ancora in Vaticano nel 2014.

Il capo dello stato si dimette nel 2015. È la volta del costituzionalista ex democristiano Sergio Mattarella. Tante sono le convergenze con Francesco su pace, migranti, crisi internazionali, dialogo interreligioso e tutela ambientale. Per il giubileo della misericordia del 2015, il presidente va all’apertura della porta santa e alla chiusura. Francesco definisce la laicità italiana «amichevole e collaborativa» e giudica «eccellente» la relazione tra le sponde del Tevere. Mattarella partecipa a diversi eventi del papa, in Vaticano e non solo. Come la preghiera tra le grandi religioni con la comunità di sant’Egidio in piazza del Campidoglio nel 2020. Non manca la visita presidenziale di congedo a fine 2021 in Vaticano. Rieletto all’inizio del 2022, è benedetto dal Vaticano. In fase toto-nomi, il segretario di stato Parolin lo proclama esempio di discrezione e fermezza. Padre Spadaro – gesuita direttore di Civiltà Cattolica e spin doctor papale – esprime soddisfazione per la rielezione: Mattarella è il «frutto maturo di un cattolicesimo impegnato in politica».

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Valentino Salvatore

Approfondimenti

  • Alessandro Acciavatti, Oltretevere (2018)
  • Michele Martelli, Italy, Vatican State (2010)
  • Portale storico della Presidenza della Repubblica: https://archivio.quirinale.it/aspr/

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