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Il fiume Isfara e l’amicizia impossibile tra Tagikistan e Kirghizistan

Nelle regioni in cui i confini hanno posto delle separazioni arbitrarie tra le risorse naturali e le popolazioni che storicamente le hanno sfruttate, si è assistito spesso ad un crescente malcontento. 

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Si tratta di un problema particolarmente sentito in Asia centrale, regione caratterizzata da confini rigidi e poco facilmente attraversabili, soprattutto quando si tratta di avere accesso alle risorse naturali che si sono venute a trovare in un altro Stato. Le violenze esplose la settimana scorsa nell’alto corso del fiume Isfara, lungo il confine tagico-kirghiso, rientrano pienamente in questo filone di tensioni.

Lo svolgimento del conflitto

Nella giornata di mercoledì 28 aprile sono esplosi scontri al confine tra Tagikistan e Kirghizistan per questioni legate allo sfruttamento dell’acqua di un fiume conteso. Iniziato come scontro tra civili, che già da alcuni giorni aveva visto delle sassaiole tra le parti, nella giornata di mercoledì si è trasformato in un vero e proprio conflitto militare. Gli scontri si sono concentrati nel tratto che separa l’exclave tagica di Vorukh dal resto del Tagikistan. Nella giornata di giovedì si sono verificati gli scontri maggiormente violenti, con l’impiego di mortai e l’afflusso di uomini e mezzi nelle regioni di Batken e Sughd. Le perdite da ambo le parti ammontano a circa cinquanta persone.

Causa scatenante degli scontri è stato il regime di gestione del fiume Isfara, collocato in un’area contesa tra i due Stati e, pertanto, oggetto di rivendicazioni da ambo le parti. Nei giorni precedenti all’esplosione delle violenze, inoltre, si è assistito all’arresto di alcuni civili che si erano recati al fiume. Questo ha portato già in passato ad escalation di violenza, come nel 2013. Dopo trent’anni dalla propria indipendenza, infatti, Biškek e Dušanbe ancora non hanno risolto le questioni di confine che ne pregiudicano lo sviluppo di buone relazioni.

Il presidente del Tagikistan Emomali Rahmon e il suo omologo del Kirghizistan Sadir Japarov si sono incontrati in occasione del vertice dell’Unione Economica Eurasiatica a Kazan il 29 aprile, mentre gli scontri erano ancora in corso. In un colloquio privato hanno stabilito un cessate il fuoco che sarebbe entrato in vigore la sera stessa. Da parte kirghisa, tuttavia, sono giunte segnalazioni di ripetute violazioni della tregua da parte delle forze armate tagiche fino alla giornata di sabato 1 maggio.

La questione del fiume Isfara

Il fiume Isfara nasce in Kirghizistan, passa attraverso l’exclave tagica di Vorukh e poi torna a scorrere in Kirghizistan fino al confine con la regione tagica di Sughd, terminando poi il suo corso nella porzione uzbeca del Syr Darya. Il tratto kirghiso di fiume che separa Vorukh dalla regione di Sughd è conteso dai due Stati, che ne rivendicano la sovranità. Sia il Tagikistan sia il Kirghizistan pretendono di esercitare il controllo sulle infrastrutture idrauliche costruite in questo tratto di fiume.

Il Kirghizistan nutre un interesse verso le acque di questo affluente del Syr Darya, giacché tramite un sistema di dighe e canali riesce a deviarne una parte verso la diga del Toktogul. Attraverso un sistema idraulico il flusso in uscita dalla diga viene reimmesso nel letto del fiume, giungendo così in Tagikistan e Uzbekistan. Questa diga riveste un ruolo fondamentale nel generare energia idroelettrica per il Kirghizistan, trattandosi dell’opera di maggiori dimensioni attualmente presente lungo il corso del Syr Darya[1]. Assicurarsi forniture stabili d’acqua è essenziale, pertanto il Kirghizistan non intende cedere alle pressioni tagiche lungo il corso del fiume.

Il conflitto che è esploso riguarda l’uso che le comunità dovessero fare delle acque del fiume in questione, che negli anni passati è stato oggetto di una serie di progetti internazionali di cooperazione per cercare di distendere le relazioni tra Biškek e Dušanbe. Solamente nel 2019 è stato celebrato l’evento “Fiume Isfara – il Fiume dell’Amicizia” in seno al progetto CAREC “Smart Waters” finanziato dall’USAID e dal progetto MSDSP dell’Aga Khan Foundation. A distanza di due soli anni questi buoni auspici si sono, tuttavia, infranti dinanzi alle storiche tensioni per l’uso delle risorse condivise e ad una retorica sempre più aggressiva tra le due parti.

La questione dei confini

L’Asia centrale risente tutt’oggi delle difficoltà sovietiche nel definire dei confini chiari in una regione dove, per secoli, diverse etnie hanno coabitato. Il risultato attuale è frutto del lavoro dell’ultima Commissione speciale nominata dall’URSS nel 1955, che tuttavia presenta notevoli criticità.

Al momento dell’indipendenza il Tagikistan e il Kirghizistan si sono trovati a dover far fronte alla presenza di enclave ed exclave che spesso hanno causato tensioni tra i due Stati. Il processo di definizione dei confini, avviato di nuovo nel 2002, ha subito moltissimi rallentamenti e solo dopo più di 100 turni negoziali si è giunti ad un accordo di massima.

Tra marzo ed aprile di quest’anno, tuttavia, le polemiche si sono riaccese a causa di alcune esternazioni del capo del Comitato di Sicurezza Nazionale kirghiso Tashiev. Infatti, egli ha menzionato Vorukh come possibile oggetto di uno scambio di territori con il Tagikistan, che avrebbe ottenuto altri territori nella regione di Batken. Il presidente tagico Rahmon, recandosi in visita a Vorukh pochi giorni dopo, ha affermato con forza che non vi sarebbe stato nessuno scambio di territori e ha lamentato quello kirghiso come un passo indietro rispetto ai progressi che erano stati fatti.

Una cooperazione necessaria

Nonostante alcuni giorni di notevole difficoltà, i due presidenti hanno fin da subito riconosciuto la necessità di interrompere qualunque forma di ostilità. Non è un caso che ciò sia accaduto al margine di un vertice dell’Unione Economica Eurasiatica: l’integrazione regionale in Asia centrale negli ultimi anni sta conoscendo una nuova fase di sviluppo, e la tendenza prevalente è quella di spingere per la risoluzione delle maggiori controversie.

Il clima di progressiva distensione delle relazioni interstatali in Asia centrale che ha caratterizzato gli ultimi anni non significa, tuttavia, che le frizioni siano scomparse del tutto: il caso del fiume Isfara è un esempio emblematico. Si è cercato di superare anni di difficili relazioni di vicinato tra kirghisi e tagichi tramite progetti di collaborazione e un dialogo serio tra Biškek e Dušanbe sui confini; ciononostante, è bastato un annuncio di scambio di territori e qualche arresto di civili per riportare le due parti allo scontro diretto, sebbene per pochissimo tempo.

La cooperazione necessita di tempo e di mutua fiducia per sedimentarsi e diventare un automatismo nelle relazioni interstatali. Il rischio di fare passi indietro è troppo grande, nessuno in Asia centrale può più permettersi quest’opzione. Il richiamo del regionalismo è troppo forte da resistere.


[1] Pak, M., Wegerich, K., & Kazbekov, J. (2014). “Re-examining conflict and cooperation in Central Asia: a case study from the Isfara River, Ferghana Valley”. International Journal of Water Resources Development, 30(2), 230-245. doi:10.1080/07900627.2013.837357

Foto: Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

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