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Il fallimento di Bernake

Se l’idea di Ben Bernanke, quando ha annunciato il secondo round di easing quantitativo, era quella di indurre una discesa dei rendimenti obbligazionari tale da stimolare riallocazioni di investimenti verso gli asset più rischiosi e ridurre, in una prospettiva di breve periodo, il costo dei mutui in modo da stimolare rifinanziamenti ed accensione di nuovi prestiti, pare che la realtà più che aggredirci ci stia facendo neri.

Decennale americano che si riavvicina al 3 per cento di rendimento, dopo aver toccato nelle scorse settimane un minimo intorno al 2,4 per cento; trentennale massacrato, non solo per esclusione dal QE2; in generale, aumento della inclinazione della curva obbligazionaria (cioè rendimenti più alti sulle scadenze più lunghe). Alcuni ottimisti compulsivi hanno letto questo irripidimento come affermazione di aspettative inflazionistiche: più verosimilmente, si tratta di un aumento del premio al rischio. I tassi sui mutui trentennali, lungi dal flettere, sono tornati dove erano prima del famoso (o famigerato) discorso di Bernanke a Jackson Hole, quando annunciò la manovra (vedi anche questa grafica). La borsa sta sputando tutto quello che aveva guadagnato dal metadone delle aspettative. Sul quadro globale pesano ovviamente anche l’avvitamento della crisi greco-irlandese (comunque vada, sarà un disastro), e i timori per azioni di stretta cinese in funzione anti-inflazionistica. C’è quanto basta per essere pessimisti. Ma quello lo siamo da tempi non sospetti.

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