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Il carcere è una fabbrica e il suo prodotto è il crimine

Osservatorio Repressione ha intervistato Eleonora Forenza, Sandra Berardi, Carmen Pisanello e Gennaro Tosto sulle ultime ispezioni nelle carceri di Bari e Lecce.

Eleonora Forenza, come ultimo atto da europarlamentare sei voluta tornare nel carcere di Bari e visitare quello di Lecce. Quali sono state le tue impressioni?

Premetto che ho dedicato una parte consistente del mio mandato ad ispezionare carceri assieme all’Associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus. In particolare ci siamo occupati dei circuiti di Alta sicurezza, quindi delle sezioni di 41 bis, As1 e As3, e di ergastolo ostativo sul quale ho presentato due interrogazioni alla commissione europea.

Sandra Berardi..

In questi circuiti sono detenute persone con condanne alte e sono concepiti e gestiti per annientare i prigionieri e indurli a collaborare con la “giustizia” violando anche la norma che prevede la spontaneità della collaborazione. Quello che abbiamo riscontrato è una condizione di alienazione e abbrutimento generalizzati, la violazione sistematica della finalità rieducativa dell’art. 27 perché in questi circuiti i detenuti sono esclusi da qualsivoglia attività. Nelle alte sicurezze le persone sono considerati solo numeri di matricola, prevalentemente destinati a stare chiusi in una cella per 22 ore al giorno. La carenza di personale è solo un alibi per giustificare la funzione meramente vessatoria di questi circuiti.

Tornando al carcere di Bari...

E.F. Avevamo già ispezionato la casa circondariale di Bari circa due anni fa e, pur avendo segnalato a tutti gli organi competenti le criticità che la stessa presentava, sia da un punto di vista strutturale sia da quello gestionale, nella visita di fine giugno abbiamo potuto riscontrare la permanenza di quelle stesse criticità e, per molti versi, un ulteriore peggioramento. In particolare per quanto riguarda la sottovalutazione delle condizioni di salute dei detenuti con patologie croniche che, ad oggi, continuano ad essere trattate con approssimazione e senza la possibilità di ricorrere agli istituti che ne permetterebbero la cura in condizioni dignitose (art. 47 ter O.P. ovvero la sospensione o la modifica della misura detentiva per motivi di salute).

S.B. Al momento della visita erano presenti circa 450 detenuti a fronte di 250 posti regolamentari, di cui 28 in centro clinico. A causa del sovraffollamento massivo, anche il reparto di isolamento è utilizzato per detenzione ordinaria. Le condizioni strutturali permangono fatiscenti e alle finestre sono ancora presenti le grate forate che non consentono il necessario passaggio di luce e aria. L’area dei passeggi è resa impraticabile a causa delle intemperie o del troppo caldo per cui i detenuti sono costretti a fare l’ora d’aria nei corridoi di sezione.

C.P. Mi ha molto impressionata la quantità altissima di persone affette da problemi di tossicodipendenza e depressione o altre sindromi psichiatriche. Circa il 25% dei detenuti ha problemi di tossicodipendenza ed è sottoposto a terapia metadonica costante. Gli atti di autolesionismo sono molto frequenti. L’ultimo caso di ingestione di pile, si è verificato durante la nostra vista. Chi entra in carcere con un disturbo si aggrava ulteriormente, la condizione sanitaria di moltissimi detenuti è incompatibile con la detenzione carceraria.

S.B. I detenuti ammalati e disabili sono dislocati indifferentemente nei normali reparti o nel centro clinico, molti presentano patologie che necessitano di assistenza h. 24 per cui viene assegnato un “Piantone”, cioè un altro detenuto con funzione di assistente socio-sanitario. Ai piantoni in servizio viene riconosciuta con contratto, e retribuita, solo 1 ora al giorno, a fronte di una presenza costante ed effettiva di 24 ore su 24. Inoltre, su indicazione del dirigente sanitario, ai detenuti del centro clinico è consentito solo l’ingresso di vestiario a colloquio, equiparando i detenuti agli ammalati ricoverati in ospedale. La presenza delle bombole di ossigeno vieta la possibilità di detenere il normale fornellino e non si da la possibilità di usare la piastra elettrica per la cottura dei cibi. Questo comporta che si deve consumare esclusivamente il vitto dell’amministrazione. Limitazioni ulteriori che si ripercuotono anche sui detenuti-assistenti (piantoni) che così subiscono oltre al danno la beffa.

Lo scorso anno è stato scarcerato Marcello dell’Utri a causa della malattia, a Bari i detenuti ammalati non hanno le stesse possibilità?

E.F. E’ del tutto evidente che il carcere e le leggi non sono uguali per tutti. Abbiamo riscontrato gravi negligenze da parte del dirigente sanitario e un uso altamente discrezionale del potere decisionale del magistrato di sorveglianza che tende a rigettare tutte le istanze relative a gravi condizioni di salute. Anche il garante dei detenuti regionale è scarsamente presente. Le relazioni mediche per le istanze di incompatibilità carceraria, anche di fronte a patologie e condizioni oggettivamente e visibilmente gravi, sono prevalentemente negative, frutto di copia-incolla, puntualmente rigettate dal magistrato di sorveglianza. Inoltre le attese per le visite specialistiche e gli interventi chirurgici sono lunghissime, mediamente circa un anno. Nei casi in cui necessitano specifiche visite specialistiche non effettuabili su Bari, vengono negate. I pochi macchinari presenti sono tutti obsoleti. Gli invalidi totali avrebbero diritto alla dotazione gratuita dei presidi sanitari ma è molto difficoltoso espletare le pratiche, causando disagi sulle gravi infermità. Abbiamo incontrato persone che sono ad uno stadio avanzato di malattie gravissime e irreversibili. Alcuni esempi:

M.: Distrofia muscolare, trasferito a bari al 19/01/18 per effettuare fisioterapia ma mai fatta. La malattia dal suo ingresso ad oggi è notevolmente peggiorata;

N.: dializzato, diabete mellito;

N.: Ischemia al cuore, angioma al cervello (riscontrato 1 anno fa e mai più controllato), insufficienza venosa, broncopolmonite cronica, maschera d’ossigeno diurna e C-Pap continua notturna, interventi alle anche pregressi, in attesa di nuovo intervento; assume terapia del dolore (morfina), rischia amputazione di entrambe le gambe. Dichiarato incompatibile dallo specialista, la magistratura di sorveglianza ha rigettato l’istanza di sostituzione della misura per gravi motivi di salute perché il dirigente sanitario, senza aver mai incontrato il sig. N, ha dichiarato la compatibilità.

M.: Diabete e piede diabetico, rischio amputazione;

F.: coronaropatia ostruttiva

M.: soffre di apnea notturna, è stato in coma farmacologico, ha fatto lo sciopero della fame a Foggia;

L.: necessita i broncoterapia, attende da 4 mesi una visita per 2 noduli che gli sono stati individuati;

G.: permanentemente allettato. Detenuto dal 1991, il tribunale di sorveglianza di Bologna ne aveva già dichiarato l’incompatibilità, rimane in carcere.

L.: paraplegico dal 2012. Ha ricevuto 2 incompatibilità, ma a Bari gli è stata negata, ha avuto 2 ulcere in carcere e la setticemia, gli viene negato il materasso antidecubito, nella cella in cui sono presenti altre due persone c’è anche uno scalino che gli impedisce di muoversi agevolmente con la carrozzina.

G.: dichiarato per ben 2 volte incompatibile.

C.: ha 3 bypass, sottoposto ad ossigenazione continua per gravissima patologia polmonare. In passato era già stato riconosciuto incompatibile col carcere ed era stata disposta la misura domiciliare poi revocata. Le condizioni sono ulteriormente peggiorate e il volume polmonare è notevolmente ridotto.

M.: invalido al 100%, è affetto da una patologia rarissima, il morbo di Ollier. Trattasi di malattia degenerativa.

C.: invalido al 100% in precedenza era nel centro clinico, l’impossibilità di deambulare, fa si che sia chiuso 24 su 24, ha 4 valvole cardiache trapiantate.

G.: ha una lesione al midollo spinale prima di entrare in carcere, recluso da 5 anni non gli è stato mai concesso di operarsi in quanto non può essere operato a Bari ma a Rovigo, sta per perdere il braccio. Gli sono stati prescritti antidepressivi che si rifiuta di assumere perché non è depresso.

in attesa di intervento chirurgico da oltre 1 anno.

 Come è organizzata la giornata dei detenuti?

S.B.: 20 ore di alienazione in celle fatiscenti e sovraffollate con vista rifiuti nei cortili (più volte i detenuti hanno fatto richiesta per poter effettuare la raccolta differenziata ma anche questo viene negato) e 4 ore d’aria nei corridoi delle sezioni. Nessuna attività trattamentale, formativa o rieducativa. Il tempo della detenzione è un tempo inutile per il condannato e rappresenta uno spreco di soldi per lo Stato dal momento che non si ottengono i risultati pretesi dalla condanna penale.

Il carcere di Lecce è uno degli istituti con il tasso di sovraffollamento più alto in tutta Italia

  1. B.: Il carcere di Lecce è composto dalle sezioni comuni, AS3 femminili e maschili, e reparto di osservazione psichiatrica (art. 122) oltre all’infermeria. Al momento della visita le persone detenute erano 1116 a fronte di una capienza regolamentare di 617 unità, il tasso di sovraffollamento è del 180,87%. Da un punto di vista strutturale, grazie anche all’impiego e all’impegno dei detenuti stessi, la struttura si presenta in buone condizione igienico-sanitarie.

Nella sezione comuni maschile sono presenti 854 detenuti mentre in AS3 sono 149;

Nella sezione femminile 46 sono le detenute comuni e 26 in AS3;

 Il reparto di osservazione psichiatrica come è organizzato? Tutti i detenuti affetti da problemi psichiatrici sono reclusi in questo reparto?

  1. T.: In infermeria sono presenti 13 celle doppie per 26 posti letto e 21 detenuti in degenza;

il reparto di osservazione psichiatrica è il punto di riferimento per tutte le carceri della regione, ha 20 posti disponibili e 15 detenuti in osservazione. Tra i detenuti sono presenti alcuni internati. Abbiamo registrato una fortissima sproporzione tra il personale medico in forza al reparto di infermeria e quello di supporto alla prevalenza della popolazione detenuta: per tutto il carcere erano presenti circa 225 detenuti in carico al Dipartimento di salute mentale (ex OPG e detenuti malati psichici) oltre alle altre problematiche di routine, mentre il personale medico in servizio è: n. 1 guardia medica h. 24, n. 2 dirigenti sanitari, consulenti a chiamata (con tempi di risposta non sempre congrui alle necessità) e n. 2 medici in convenzione per un totale di 38 h. a settimana.

Il reparto di infermeria dispone, per un massimo di 20 detenuti/degenti di: n. 4 medici psichiatri, n. 20 infermieri, n. 1 tecnico della riabilitazione e n. 2 psicologi. Sottolineo che questo personale, per disposizioni dell’azienda sanitaria, non presta assistenza all’interno dei reparti detentivi dove, quindi, sono dislocati il maggior numero di detenuti con problematiche medico-psichiche.

E.F.: l’unica nota positiva l’abbiamo registrata da un punto di vista gestionale. Abbiamo apprezzato l’apertura della direttrice che è molto presente, disponibile sia con le detenute e i detenuti sia con il personale. I problemi principali del carcere di Lecce sono il sovraffollamento, le carenze sanitarie e la scarsezza delle risorse territoriali per poter implementare percorsi di reinserimento socio-lavorativi e la conseguente estensione delle misure alternative ad un numero maggiore di persone che, potenzialmente, avrebbe i requisiti di accesso. Attualmente solo 2 detenuti beneficiano dell’art. 21.

Come è organizzato il reparto femminile?

  1. T.: nelle due sezioni femminili è stato attuato il “regime aperto”, celle aperte quindi dalle ore 8:00 alle 18:30 ad esclusione dei pasti, conta, controlli, pulizie. Tutti gli spazi comuni e di passaggio sono dotati di sistema di videosorveglianza.

I colloqui con i figli e con i nipoti avvengono in sala colloqui e, a turno anche con il reparto maschile, è possibile usufruire di un piccolo spazio all’aperto. L’ acqua calda è disponibile solo nei bagni comuni e nelle docce, mentre i bagni delle celle sono senza doccia. Ogni cella , destinata ad una singola reclusa, ha sempre due recluse all’interno con un tasso effettivo di sovraffollamento del 200%.

Esiste una biblioteca ed una reclusa è responsabile della gestione del catalogo libri.

Il medico è presente due volte a settimana su richiesta ed esegue solo attività di consulenza ambulatoriale. Nessuna forma di accertamenti e nessuna presenza di specialisti. Per risolvere ogni necessità si devono affidare al SSN con normali tempi di prenotazione.

C’è la possibilità di studiare con due indirizzi: scuola media (mai partita) e ragioneria (un corso), tra il 2018 e il 2019 per alcune recluse c’è stata la possibilità di seguire un corso di formazione per Assistente Familiare e uno per elettricista con rimborso orario pari a 5 €/h organizzato dalla regione.

Quali sono gli aspetti maggiormente critici?

E.F.: I punti critici delle due sezioni variano per diversi fattori. Nella sezione “comuni” quasi tutte le detenute presentano problematiche legate alla tossicodipendenza, ad una condizione generale di disagio sociale. Durante l’assemblea è largamente emersa la difficoltà a sostenersi sia per la mancanza di rapporti familiari (prevalentemente donne migranti e provenienti da famiglie in condizioni di povertà) per via delle poche, e saltuarie, ore di lavoro concesse. Le stesse non effettuano colloqui familiari e hanno difficoltà a garantirsi anche i beni primari. Queste stesse donne sono prevalentemente detenute per “reati di sopravvivenza”.

S.B.: Nella sezione di Alta Sicurezza la prevalenza delle donne detenute non è colpevole di reati specifici ma sono detenute in base a legami familiari (mogli, sorelle, figlie, compagne, madri, di persone, anche presunte, appartenenti alle organizzazioni mafiose). Durante l’assemblea, molto partecipata e con una buona dose di consapevolezza, sono emerse criticità differenti rispetto alle detenute comuni, fondamentalmente le stesse che abbiamo riscontrato negli altri circuiti di Alta Sicurezza:

  • assenza del Magistrato di sorveglianza, mancata chiusura e aggiornamento delle relazioni di sintesi ai fini delle istanze di permesso e/o declassificazione attribuibile agli assistenti sociali dei comuni di provenienza delle detenute che non effettuano le visite domiciliari per la stesura delle relazioni.
  • Lentezza per l’erogazione delle cure
  • Costi eccessivi del sopravvitto
  • mancanza di prese nelle celle che permettano l’uso di dispositivi quali la sigaretta elettronica o i ventilatori, nonostante la circolare del dap del 2017.
  • La sostanziale difficoltà che trovano le recluse nell’ottenere la disoccupazione e l’impossibilità per coloro che hanno una condanna con art. 416 bis (mai nessuna risposta da INPS)
  • Le istanze di trasferimento vengono sempre respinte.

 Siamo nel 2019, il progresso ha permesso all’uomo di raggiungere mete insperate fino ad un secolo fa, eppure il sistema penale è una istituzione che non riesce a superare la privazione della libertà come forma retributiva per la società. Perchè? È effettivamente utile?

R.: Dovremmo avere la capacità di mettere in discussione il sistema carcerario nella sua totalità. È un sistema inefficace se non controproducente per gli obiettivi che si propone, le condizioni di detenzione consegnano la persona detenuta all’alienazione, alla violenza della coabitazione forzata con decine di persone in cameroni dove sono costretti fino a 20/22 ore al giorno, oppure all’isolamento. Il lavoro intramurario, o in convenzione con aziende esterne, rasenta lo sfruttamento (quando non è gratuito e obbligatorio) della manodopera detenuta senza dare nessuna opportunità concreta. Gli affetti, le relazioni sociali, i rapporti professionali, vengono profondamente minati dalla detenzione. Chi entra in carcere, nella migliore delle ipotesi, uscirà come è entrato altrimenti si porterà addosso l’inutilità degli anni di segregazione con in più le patologie e i disturbi comportamentali che la la detenzione fa sviluppare. Cambiare sistema si può, si potrebbe, ma gli interessi che ruotano attorno al sistema penale sono enormi. Chi gestisce l’amministrazione penitenziaria sa benissimo che le misure alternative sono di gran lunga più efficaci e danno opportunità concrete alle migliaia di persone condannate per reati di sopravvivenza. Ma non è questo l’obiettivo principale dell’istituzione penitenziaria: crediamo che il buon Marx ne abbia intuito esattamente la funzione regolatrice all’interno dei rapporti di classe e di controllo sociale come anello fondamentale del sistema capitalista che oggi viene esteso al mondo del lavoro, della scuola ecc., con tanto di regole di mercato: il carcere è una fabbrica e il suo prodotto è il crimine.

Foto: Inside Carceri/Flickr

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