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Il Papa va a Cuba ma Amnesty denuncia l’aumento della repressione

 

Mentre il Papa si appresta a visitare Cuba un nuovo rapporto di Amnesty International, diffuso oggi, denuncia il profondo aumento dei casi di persecuzione e di detenzione ai danni di attivisti politici, giornalisti e blogger cubani.

Sembrava che dopo i rilasci di massa dei prigionieri di coscienza condannati dopo la retata del marzo 2003 (la maggior parte dei quali, peraltro, costretta all’esilio) la situazione dei diritti umani fosse destinata a migliorare.

Invece, secondo la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, da gennaio a settembre del 2011 vi sono state 2784 violazioni, per lo più brevi periodi di carcere per i dissidenti, 710 casi in più rispetto all’intera durata del 2010.

Negli ultimi 12 mesi, oltre 65 giornalisti indipendenti sono stati imprigionati, nella maggior parte dei casi più di una volta. Per Reporter senza frontiere, il governo cubano è ancora ostile alla stampa libera.

Non dimentichiamo infine i due prigionieri di coscienza che hanno perso la vita dopo lunghi scioperi della fame.

Gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti indipendenti sono trattenuti per periodi che variano dalle poche ore ad alcuni giorni, nelle stazioni di polizia come nei centri di detenzione, dove spesso subiscono interrogatori, intimidazioni, minacce e, in alcuni casi, anche pestaggi. In molti casi, le autorità non informano le famiglie sulle ragioni dell’arresto o sul luogo di detenzione.

Il rapporto di Amnesty International descrive alcuni casi di “prigionieri di coscienza”.

I fratelli Antonio Michel e Marcos Máiquel Lima Cruz, attivisti per i diritti umani, sono in carcere dal 25 dicembre 2010, quando vennero arrestati da funzionari del dipartimento per la Sicurezza dello stato nella città di Holguín per aver cantato brani del gruppo rap Los Aldeanos, che criticavano la mancanza di libertà d’espressione nel paese.

Nel maggio 2011, dopo un processo sommario, i due fratelli sono stati condannati a due e a tre anni per avere, rispettivamente, “insultato i simboli della madrepatria” e “disordini pubblici”.

Antonio Michel Lima Cruz ha problemi alla prostata e non starebbe ricevendo cure mediche adeguate. Dovrebbe beneficiare della libertà condizionata, poiché ha già scontato oltre la metà della condanna, ma le autorità non hanno risposto alle richieste dell’avvocato e della famiglia.

Altri “prigionieri di coscienza” sono gli attivisti per i diritti umani Yasmin Conyedo Riverón e suo marito Yusmani Ráfael Alvarez Esmori, in carcere dall’8 gennaio 2012 con la pretestuosa accusa di “violenza o intimidazione” contro un pubblico ufficiale.

Il caso più assurdo pare essere quello di José Alberto Alvarez Bravo, un giornalista dell’Avana imprigionato 15 volte dall’aprile all’ottobre 2011. In uno di questi arresti, il 12 luglio, i funzionari della Sicurezza hanno sequestrato il suo computer, una chiavetta Usb, una camera digitale, libri e documenti. È rimasto in prigione oltre 72 ore.

Insomma, le tattiche sono cambiate ma la repressione del dissenso è sempre dura: non più lunghe condanne al termine di processi irregolari, piuttosto brevi e ripetuti periodi di carcere e azioni pubbliche di ripudio, come quelle contro le Donne in bianco.

Le autorità cubane continuano a non tollerare alcuna critica alla linea politica ufficiale, al di fuori degli spazi istituzionali che sono sotto il controllo del governo. Le leggi in materia di “disordini pubblici”, “disprezzo”, “mancanza di rispetto”, “pericolosità” e “aggressione” sono usate per perseguitare gli oppositori. Nessuna organizzazione politica o per i diritti umani può ottenere il riconoscimento legale.

Niente di buono, e niente di nuovo, a Cuba.

C’è da sperare che la visita del Papa sortisca qualche effetto e che Benedetto XVI possa, con la sua influenza, fare la sua parte per ottenere il rispetto del diritto alla libertà d’espressione e di associazione, la fine delle persecuzioni e il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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