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I conti in tasca, degli altri

Pasqua è passata e si tirano i consuntivi, sciorinando cifre come faceva anni fa un quotidiano americano per le previsioni del tempo: 70% di bel tempo quando 7 giornalisti su 10 prevedevano sereno, o tempo incerto quando i pareri erano divisi a metà.

Con la stessa precisione abbiamo appreso dal TG5 di Pasqua che a Cortina c’è stato il tutto esaurito, mentre il TG1 di Pasquetta dava un calo di presenze - sulla base delle dichiarazioni degli albergatori ampezzani - del 40%. Nulla di cui meravigliarsi: matematica e giornalismo sono da sempre opinioni, non scienze.
Quello che mi fa girare i santissimi è quando vogliono prendermi per i fondelli, sempre buttando lì cifre che nessuno può contestare perché non esiste una par condicio di cronaca e solo gli addetti ai lavori conoscono alla perfezione. Vediamo il caso concreto.

Mercoledì scorso, ore 12,30 circa, trasmissione Agri3 sul terzo canale Rai. Il buon Rosario Trefiletti, idolo dei consumatori "rossi", intervistato a proposito del costo dei pranzi di Pasqua, afferma che al ristorante l’italiano ha speso in media 55-60 euro pro capite per un pasto che, consumato in casa, sarebbe costato sui 25 euro. Da telespettatore tiro due considerazioni: gli italiani che sono andati a mangiar fuori sono tutti imbecilli, ed i ristoratori sono tutti dei ladri.

Fin qui nulla di nuovo: secondo una certa visione di classe i commercianti in genere, ed i ristoratori in particolare, sono tutti da ricoverare nelle patrie galere.
Il buon compagno Trefiletti dimentica però di dire per esempio (arteriosclerosi galoppante o malafede?) che la massaia paga le tasse (Iva) al macellaio, ma il ristoratore paga anche tutte le altre tasse su quel pranzo, che per la cameriera che porta al tavolo il piatto il ristoratore paga una retribuzione ed altrettanti oneri sociali, così come per il lavapiatti, per i cuochi che hanno cucinato.

Basta prendere un qualsiasi testo degli istituti alberghieri per scoprire che il "costo piatto" è la risultante di una lunga serie di fattori: investimento di capitale in immobile ed attrezzature, costi di manutenzione, personale, energia, telefono, cancelleria, pubblicità, spese di contabilità, tasse ed imposte più svariate, fino ai contributi per l’Ente Bilaterale che la massaia non sa neppure che esista. In definitiva, il costo delle materie prime (la bottiglia di minerale e l’agnello) incidono solo per un terzo sul costo piatto.

Questo Trefiletti non lo dice, ma intanto ha fatto la sua bella figura e la gente lo applaude, come non dice che questo blogger non prende un euro per buttar giù due righe, mentre la sua opinione val bene un gettone di presenza. Ma tant’è: la demagogia ha sempre un costo. Devo presumere che quando ci saranno solo Big Mac e patatine fritte sarà grande festa per certa gente, perché è lì che vogliono portarci.

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