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Habemus Recovery Fund

Dopo quattro giorni di negoziato, raggiunto l’accordo. Non è male, in complesso e viste le acrimoniose premesse. In ognuno di questi veri e propri parti europei, con lunghissimo e doloroso travaglio, ognuno può trarre conferma delle proprie convinzioni: dell’Europa che non spreca mai una crisi e progredisce o quella che vive di crisi e di esse morirà. Al netto di ciò, proviamo a vedere misure e conseguenze dell’accordo.

L’intesa è da definire storica perché segna l’esordio di una forma di mutualizzazione di debito tra i paesi membri, a trattati invariati. Anche per questo motivo è servito molto tempo per arrivare alla soluzione di compromesso, che ha portato con sé la modifica del mix tra sussidi e prestiti.

Se volete avere il colpo d’occhio ed il bignami di quanto deciso, non guardate altrove se non a questa serie di tweet del bravo David Carretta:

L’Olanda ed i frugali ottengono una specie di “freno di emergenza”, che demanda al Consiglio europeo la “decantazione” di non oltre tre mesi in caso anche un solo paese sollevi dubbi sulla realizzazione coerente degli impegni di spesa dei membri.

I frugali ottengono anche di riportare al tavolo europeo lo spirito di Margaret Thatcher, ottenendo aumenti dei rimborsi (rebates) sulle loro contribuzioni al bilancio Ue. Uscito il Regno Unito, restano gli olandesi e non solo loro, a frapporsi tra sogni irenici e realtà.

Le risorse anti pandemia e pro sviluppo ci sono e non sono poche, considerando anche l’azione della Bce, che ha sin qui protetto soprattutto il nostro paese. Che porta a casa poco più di 80 miliardi di sovvenzioni e circa 127 miliardi di prestiti, circa 35 in più delle ipotesi iniziali. Si tratta di un importo aggiuntivo che è pari alla linea pandemica del MES, quella che in Italia la maggioranza del parlamento non vuole.

La posizione negoziale iniziale italiana era piuttosto surreale, come ben si addice ad un paese che fa del surrealismo (meglio se socialista) il proprio manifesto di vita. Dateci i soldi e poi ce la vediamo noi, in sintesi.

Bizzarro anche il modo in cui la politica italiana ha vissuto questo periodo: come se il nostro fosse stato l’unico paese colpito con violenza dalla pandemia, e di conseguenza dovesse essere al centro di una sorta di conferenza internazionale dei donatori. Poi, il risveglio. Forse.

Ovviamente, poiché la posta in gioco è altissima, ci saranno controlli e verifiche, con erogazioni in tranche condizionate allo stato di avanzamento dei lavori. Non poteva essere altrimenti. E qui sta il punto. Gli italiani da sempre sostengono senza ritegno che avere il commissario agli Affari economici (Paolo Gentiloni) servirà a non avere troppi problemi. Se fosse così semplice.

Ma c’è un altro problema, relativo al controllo della spesa. Tutta la storia del rapporto tra la Ue e l’Italia è fatta di verifiche formali e limitate in misura decisiva all’aspetto dell’equilibrio contabile. Questo ha prodotto, dal nostro versante, pessime soluzioni di politica economica, perlopiù centrate sull’eterno inseguimento tra spesa pubblica e tasse, che hanno contribuito al deperimento della nostra performance economica.

Accadrà lo stesso anche questa volta? Forse sì, forse no. Questa volta ci sono in ballo sovvenzioni e debito mutualizzato, quindi la logica richiederebbe controlli sostanziali sulle modalità di spesa. Il “freno di emergenza” va teoricamente in questa direzione.

Ulteriori considerazioni, su scenario più vasto. Dal prossimo ciclo settennale di bilancio Ue, cioè dal 2028, deve iniziare l’accantonamento di risorse per il rimborso del debito comune emesso.

Per ora si è identificata solo una fonte di entrata propria, una plastic tax che entrerà in vigore dal 2021. Discorso sospeso sulle altre due grandi fonti di copertura, quelle più sensibili a rischi ritorsivi da parte di americani e cinesi: carbon tax alla frontiera e digital tax.

Altro punto: se la pandemia dovesse essere eradicata, con vaccino o terapia, è auspicabile che l’economia riprenda in modo tale da non rendere necessarie ulteriori misure di protezione finanziaria. Anche se in teoria ripartiremmo tutti con uno stock di debito da far tremare le vene ai polsi e richiedere soluzioni creative, soprattutto alle banche centrali. Diversamente, tra qualche mese potremmo renderci conto che queste risorse sono del tutto insufficienti.

Ma attenzione: l’aggravio di debito potrebbe comunque essere asimmetrico (lo sarà). Se ci si lascia alle spalle la pandemia e si torna allo status quo ante, continuerà ad esserci un solo paese il cui costo medio del debito eccederà il tasso di crescita nominale del Pil. Ed è l’Italia. Ecco perché possiamo attenderci basso tiraggio totale del debito condizionato del Recovery Fund, ed ecco perché presto si rischia di tornare a parlare di stigma su un solo paese. Uno a caso.

La mia sintesi, per l’Italia, è questa:

Ma qui, come forse saprete se mi leggete su base vagamente regolare, entrerà in gioco la visione del mondo italiana, che non depone affatto a favore del primo esito.

Photo by European Union – Consilium

 

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