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Home page > Attualità > Guantánamo, uno scempio dei diritti umani che dura da 22 anni

Guantánamo, uno scempio dei diritti umani che dura da 22 anni

Sette presidenze statunitensi dopo la sua apertura, il centro di detenzione di Guantánamo sta per entrare nel suo ventitreesimo anno di attività.

L’11 gennaio 2002 vi fecero ingresso i primi detenuti sospettati di terrorismo internazionale: ammanettati, incatenati, inginocchiati, incappucciati e con addosso tute arancioni: maschi adulti – ma anche, in alcuni casi, minorenni – definiti con un neologismo antigiuridico “combattenti nemici” da sottoporre a “tecniche d’interrogatorio rinforzate” per ottenere informazioni utili per la sicurezza degli Usa.

Da allora, a Guantánamo sono passati 780 detenuti: catturati nella maggior parte dei casi in Afghanistan dai servizi segreti pachistani ma anche altrove in giro per il mondo, trasferiti da una prigione segreta all’altra del pianeta prima di arrivare alla destinazione finale.

Quasi il 90 per cento delle persone passate per Guantánamo non è mai stato processato: oltre 500 detenuti stati trasferiti in paesi terzi sotto le presidenze Bush, circa 200 sotto quelle di Obama, uno sotto la presidenza Trump e sei sotto quella di Biden. Altri nove non sono mai stati processati perché si sono suicidati.

Le commissioni militari incaricate di processare i sospetti terroristi detenuti a Guantánamo hanno prodotto appena nove condannetre delle quali vengono attualmente scontate all’interno del centro di detenzione.

A Guantánamo restano ancora 30 detenuti. Undici sono stati accusati di crimini di guerra: uno è stato condannato, gli altri sono sotto processo da parte delle commissioni militari insediate nel centro di detenzione. Tra loro c’è Khalid Sheikh Mohammad, autoproclamatosi la mente degli attacchi alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001.

Altri tre sono detenuti, senza accusa né processo, in quanto particolarmente pericolosi. Dei 16 restanti, infine, è stato previsto il trasferimento in un paese terzo, ma gli accordi di sicurezza devono ancora essere perfezionati.

A fronte di un bilancio estremamente magro dal punto di vista della giustizia, Guantánamo ha fatto danni enormi ai diritti umani. Lì gli Usa hanno legittimato la detenzione senza accusa né processo in nome della presunta minacciosità di un individuo. Lì hanno perfezionato il sistema della tortura, arruolando medici, giuristi e psicologi per “individuare i punti deboli del nemico”, aggredendone l’onore e il pudore.

Il primo direttore di Guantánamo Bay, il generale Geoffrey Miller, ha poi diretto il carcere statunitense di Abu Ghraib, in Iraq: quello reso tragicamente famoso dalle fotografie di un detenuto trasformato in albero di Natale e di prigionieri nudi e impilati gli uni sugli altri.

Guantánamo ha trasmesso al mondo un messaggio fallace: per avere più sicurezza occorre avere meno diritti. Un messaggio che rischia di sopravvivere alla sua chiusura, se e quando avverrà.

 

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