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Grazie al premio Nobel Parisi. Anche per essersi speso per la laicità delle istituzioni

Da giorni (giustamente) non si fa che parlare del premio Nobel per la Fisica a Giorgio Parisi e sui giornali si susseguono ritratti, interviste e ricostruzioni della sua carriera: dagli studi con Nicola Cabibbo, considerato uno dei più importanti fisici del Novecento, all’aneddoto di quando, a 25 anni, si fece scappare da sotto il naso il prestigioso premio dell’Accademia svedese…

Curiosamente (o forse no) a ricordare un altro momento della vita dello scienziato ci hanno pensato solo alcuni giornali di impronta cattolica, nella fattispecie Avvenire, Aleteia, La nuova Bq, il Sussidiario (ma anche il Secolo d’Italia e Nicola Porro). Ci riferiamo a quando, correva l’anno 2007, Parisi fu tra quei docenti dell’università La Sapienza che scrissero al rettore sollecitandolo a riconsiderare l’invito rivolto all’allora papa Benedetto XVI a tenere un discorso all’Inaugurazione dell’Anno Accademico.

«Magnifico Rettore – recitava quella lettera – con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l’intervento di papa Benedetto XVI all’Inaugurazione dell’Anno Accademico alla Sapienza. Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Feyerabend: “All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto”. Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all’avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano. In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l’incongruo evento possa ancora essere annullato».

Sollecitazione legittima, anzi doverosa, nell’ambito di quella separazione tra Stato e Chiesa stabilita dalla nostra Costituzione. Il rettore invece andò avanti per la sua strada, mesi dopo la lettera finì sulle pagine di tutti i giornali, Ratzinger decise, sua sponte, di annullare l’intervento e i due eventi (lettera e rinuncia) furono messi in collegamento, generando un coro di polemiche. Ricordiamo, tra le altre, la presa di posizione di Gasparri, il quale dichiarò: «Dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo che vengano assunte iniziative per allontanare dall’ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze».

Oggi, i giornali della galassia cattolica tornano a ricordare quella pagina con intenti più o meno velatamente critici, come se in qualche modo essa possa gettare un’ombra sulla figura dello scienziato.

Al contrario, l’aver firmato quella lettera, l’essersi speso per la tutela della laicità delle istituzioni, pur non essendo materia da premio Nobel, merita senz’altro riconoscimento. E gratitudine.

Ingrid Colanicchia

 

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