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Grandi Opere | Il Ponte sullo Stretto e il “vittimismo” del Meridione

“Per me è fondamentale che la grande partita di Napoli e della Campania, più in generale del Sud, esca dai confini del pessimismo, vittimismo, lamentazione, rassegnazione”. Così Renzi a fine gennaio, durante un incontro con l’ad di Apple Tim Cook. Detto fatto, il presidente del Consiglio ha recentemente dato il suo placet alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina dopo mesi di ambiguità. “Darà lavoro a 100mila persone” ha aggiunto, per un costo di lavori stimato intorno agli 8,5 mld di euro.

di Giovanni Succhielli

Siamo sicuri, però, che sia proprio questo ciò di cui il Sud ha bisogno? Chi ci abita chiede, piuttosto, maggiori collegamenti e opere di prima necessità piuttosto che faraoniche. Infatti, solo il 19% dei finanziamenti previsti nel 2014 tra “Sblocca Italia” e Legge di Stabilità riguardavano il Meridione. In particolare, per la rete ferroviaria venivano complessivamente stanziati quasi 5 miliardi, dei quali però il 98,8% per le regioni a nord di Firenze. A quelle sotto il capoluogo toscano sono state destinate le briciole: l’1,2%.

Non a caso, secondo l’Istat al Sud la rete ferroviaria si desertifica con appena il 34% di chilometri, dove il 70% dei treni viaggia su binario unico contro una media nazionale del 55%. Una polemica recentemente fomentata dallo scontro – in Puglia, a luglio – tra due treni che viaggiavano sulle stesse rotaie.

Si pensi che il rapporto “Pendolaria 2015” di Legambiente evidenzia come i treni regionali circolanti ogni giorni in Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna siano in numero minore di quelli nella sola Lombardia. Ancora: quelli al Meridione sono mediamente più vecchi di due anni. Il governo Renzi, però, per l’anno corrente ha previsto finanziamenti quasi identici a quelli del 2015. Si può davvero parlare di “vittimismo del Sud”?

La situazione del trasporto su gomma è anch’esso disastrosa. Tra i tanti esempi: il viadotto Himera (Palermo-Catania) è crollato un anno fa ma mai ricostruito, mentre la statale per Sciacca è in prevalenza ad una sola corsia da anni.

Non avrebbero, dunque, la priorità interventi su queste direttrici per portare il Sud Italia fuori da una situazione che rasenta, a tratti, i Paesi del Terzo Mondo?

La domanda da farsi, inoltre, è: ne varrebbe la pena? Gli esperti sono scettici: il traffico sul Ponte infatti sarebbe scarso dal momento che, per raggiungerlo provenendo dall’entroterra, bisognerebbe salire in quota e scendere nuovamente. Secondo molti per una distanza così breve è più comodo il traghetto. Inoltre, i treni non potrebbero transitarvi.

Due, poi, sono le questioni che non possono essere trascurate parlando di “grandi opere”: l’aumento dei costi e l’infiltrazione di organizzazioni criminali. Entrambe sono condivise da tutte le imprese faraoniche finanziate in Italia negli ultimi anni.

Per quando riguarda la TAV Torino-Lione, tra 2012 e 2014 l’investimento pubblico italiano è passato da 2,9 mld a 4,16. Tanto da far definire al presidente FS Messori l’importo “non determinabile con precisione”. E la ‘Ndrangheta, come si è scoperto negli ultimi mesi, aveva messo le mani su sub-appalti per il Terzo Valico.

Poi il Mose, a Venezia: un progetto trentennale avviato solo nel 2001 con un costo previsto di 4,2 miliardi. Aumentato, dopo dieci anni, di un quarto, come rileva il Def 2012-2014. Poi le indagini e i patteggiamenti per corruzione e finanziamenti illeciti.

Di Expo si sa che con ogni probabilità i conti si sono chiusi in rosso – se si calcola dall’investimento iniziale – e nemmeno l’Esposizione Universale milanese è stata risparmiata da arresti per truffa, tangenti e appalti truccati. Nonostante la vigilanza dell’ANAC presieduta da Cantone.

Non si può ignorare che la corruzione, insomma, è ormai fisiologica nel Belpaese e riguarda ogni opera che attiri grandi investimenti nonostante l’adeguamento dei “controllori”. La situazione diventerebbe più grave al Sud dove, senza ombra di dubbio, le mafie proliferano e sono ancor più ramificate nelle istituzioni nonché nelle imprese private, rispetto al Nord.

C’è da chiedersi, dunque, quali benefici potrebbe mai dare un’opera che causerebbe la nascita di nuove indagini e che, a fronte di un investimento miliardario, inizierebbe a produrre utili a distanza di trenta o quaranta anni.

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