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"Galleria delle armi": dal disastro al romanzo

Inizia il viaggio. Un viaggio in una Napoli stravolta dalla guerra, un viaggio dentro e fuori la vita di Pino, un viaggio in treno che termina nella Galleria della Armi: il luogo in cui il 3 marzo 1944 si consumò la più grande tragedia ferroviaria italiana.

Galleria della Armi è il titolo del libro che Salvio Esposito ha scritto per raccontare e ricordare la sciagura di Balvano. Leggerlo è come fare un viaggio, un viaggio in treno che si snoda sui binari del tempo, attraversando la storia universale, per poi fermarsi a Balvano, in un angolo di storia dimenticato, con tutta una serie di tappe intermedie tra immaginazione e realtà. Il passeggiero che seguiamo e che ci guida in questo percorso è Pino, uomo di medicina in pensione, che vive un rapporto ombroso con le figlie, Regina e Tilde, la riccia e la frolla come le definisce lui, schiavo, invece, della vitalità e della freschezza del nipotino Michele. Quando scopre che il bambino è affetto da sindrome di Behçet ripensa al suo passato, all’istante in cui ha tirato lo starter ed ha messo in moto la sua esistenza. Parte della sua vita Pino l’ha trascorsa nel Vecchio Policlinico, “a Termosifilopatica”, a fare il medico, curando poveri miserabili, allietato e disgustato dai racconti di Bartolo, infermiere un po’ grottesco un po’ comico, che incarna la perfetta idea del guappo napoletano. È durante una giornata in ambulatorio che Pino conosce la “torrese”, la bionda, straordinariamente bionda torrese che lo risveglia dal suo annichilimento e che per prima presenta i sintomi di un’insolita malattia.

Il viaggio di Pino incomincia con questo incontro ed così che la sua storia si intreccerà con quella dei passeggeri del treno 8017. Su quel treno Pino sale perché spinto dall’amore, ma diviene il testimone, la voce narrante del disastro ferroviario di Balvano, una tragedia su cui non si mai soffermata molto la storiografia e che non viene menzionata tra le cerimonie pubbliche del nostro paese, ma ricordata solo a livello locale. Eppure, nella notte tra il 2 ed il 3 marzo del ’44 morirono più di 600 anime: sino ad oggi è il più grave incidente ferroviario della storia italiana. Il convoglio ferroviario doveva effettuare la tratta Napoli – Potenza ed era costituito da ben 47 vagoni merci in cui si stiparono una massa indefinita di persone. Si trattava, per lo più, di disperati dallo stomaco vuoto, che andavano nelle terre lucane per tentare di barattare i gingilli americani con del cibo. L’eccessivo peso del treno determinò l’aggiunta di una seconda locomotiva, alimentata a carbone. Quest’elemento e la natura del valico in forte pendenza con diverse gallerie, causò, tra Balvano e Bella-Muro Lucano, un arresto del convoglio all’interno della Galleria delle Armi. Una trappola mortale. L’umidità della notte, la scarsa aereazione dalla galleria ed il contemporaneo sprigionamento di monossido di carbonio dalle locomotive generò la morte per asfissia dei passeggeri, quasi tutti colti nel sonno. Un numero tuttora imprecisato. Riuscirono a salvarsi solo coloro che si trovavo all’interno delle ultime due vetture in coda, le uniche bloccate all’esterno della galleria.

Attraverso la sua arte narrativa Salvio Esposito riaccende così l’attenzione su un pezzo di storia dimenticato, ma senza tralasciare il contesto di miserabilità in cui versava il Meridione negli anni Quaranta, miscelando diversi elementi che ci consentono di percepire lo squallore e l’angoscia di una Napoli disincantata dagli Americani e contemporaneamente di intravedere quei tratti di socialità ed ilarità che appartengono unicamente al mondo partenopeo. Non solo. L’enfasi del testo è accentuato dai numerosi riferimenti ai luoghi simbolo della città, dall’ausilio di flash back e da sapienti giochi linguistici, con l’irruzione del dialetto napoletano che consenta un’identificazione più popolare, un tocco di leggerezza ed ironia. La visione fluida del racconto, così facendo, si può raggiungere sola alla fine. Galleria della Armi è un sapiente intreccio tra finzione e realtà, un testo che scuote, incuriosisce la mente e crea quella smania ed ingordigia voglia di sapere come finirà. È per questo che nel momento in cui si apre il libro lo si può richiudere solo quando si arriva a leggere l’ultima pagina, senza pause.

Carmen Iebba

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