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"Fiore", di Claudio Giovannesi. Intervista col regista

Alcune scelte definiscono in modo chiaro ciò con il quale ci stiamo misurando.

Questo è il caso del film “Fiore” del regista Claudio Giovannesi che dopo il precedente lavoro “Alì ha gli occhi azzurri” torna a parlare degli adolescenti tra le realtà spesso complicate che compongono il nostro paese.

Ho parlato fin dal principio di questo mio articolo dell'elemento della chiarezza perché il titolo della pellicola è un titolo breve che non concede spazio a distrazioni. Un fiore è all'apparenza fragile ma in realtà contiene una grande forza, basti pensare all'intensità dei colori e dei profumi; un fiore è qualcosa che appena sbocciato può addirittura stordire per bellezza e purezza.

La pellicola è stata presentata in concorso nella sezione “Quinzaine des Réalisateurs” al festival di Cannes del 2016.

Giovannesi ci racconta la storia di una ragazza, Daphne e un di ragazzo, Josh che si “incontrano” all'interno di un carcere minorile.

Il loro incontrarsi è però fatto prima da sguardi lontani che si cercano per poi unirsi piano piano fino al deflagrare dell'amore.

Nel riformatorio maschi e femmine vivono in “bracci” separati della struttura ma questo non impedirà ai due protagonisti di inseguirsi e di rivelarsi.

Le loro storie di adolescenti sono contornate da quelli degli adulti spesso incapaci di affrontare il proprio ruolo come il padre di Daphne (ruolo affidato al sempre bravissimo Valerio Mastrandrea) il quale diviso tra un passato difficile fatto di trascorsi in carcere ed un futuro da vivere alla giornata cerca, senza riuscirci fino in fondo, di svolgere il compito del genitore.

Oltre al già citato Mastrandrea va fatta menzione estremamente positiva di tutti gli attori del cast per la maggior parte esordienti sui quali spiccano le interpretazioni di Daphne Scoccia e Josciua Algeri entrambi al loro debutto artistico.

In particolare la Scoccia colpisce in modo diretto e penetrante per l'approccio “fisico” al personaggio e per la capacità di parlare direttamente allo spettatore attraverso i propri occhi che riescono ad essere lo specchio sul mondo narrato.

“Fiore” è un film importante per ciò che racconta e nel modo in cui lo racconta.

Non c'è la volontà di puntare il dito contro qualcosa o qualcuno ma di raccontare una storia semplice ma complessa come lo sono tutte le storie che vale la pena narrare.

Nel lavoro di Giovannesi non c'è un discorso di pietismo ma casomai di pietas intesa come devozione ad una causa ed in questa vicenda devozione alla causa dell'amore.

La fotografia svolge poi un ruolo chiave per i colori offerti i quali incidono per opposizione alla realtà di cui si parla.

Per poter però rendere al meglio il racconto sul film voglio proseguire riportando l'intervista che Caludio Giovannesi (regista del film) mi ha così gentilmente concesso:

Fiore” è nella sua sostanza il racconto di una storia d'amore nata all'interno di un carcere minorile. In un certo senso la realtà dell'amore e la realtà della reclusione fisica possono essere un rimando al topos “freudiano” di Eros e Thanatos dove quest'ultimo si pone come ostacolo al primo. Volevo quindi chiederti quanto sia stato importante per te lavorare sui “contrasti” per rendere al meglio una storia come questa?

Nella letteratura, nel teatro e nel cinema è impossibile costruire la drammaturgia di una storia d'amore senza un ostacolo alla realizzazione del sentimento, Romeo e Giuletta, Lolita, per fare esempi fondamentali, si basano sul divieto, sull'impossibilità dell'amore. Fiore è prima di tutto una storia d'amore, il carcere, le sbarre e l'autorità sono gli ostacoli da superare”.

Per scrivere la sceneggiatura del film hai trascorso diverso tempo all'interno di una struttura di reclusione minorile. Mi piacerebbe chiederti come sei riuscito a far dialogare due concetti di tempo così differenti tra di loro per natura come quello “dinamico” della narrazione filmica e quello “statico” della vita all'interno di un carcere.

 “In carcere il tempo non è solo quello della quotidianità dei detenuti ma anche quello del ricordo, quindi della vita passata e quello del futuro, quello delle aspettative e della libertà. Abbiamo lavorato su tutti questi tre aspetti con i ragazzi e le ragazze detenute, non solo la vita in carcere ma anche il prima e il dopo.”

Nel film è presente anche il tema del rapporto tra gli adolescenti e gli adulti. E a ben vedere ciò potrebbe essere anche letto come la grande difficoltà che oggigiorno gli adulti (causa anche la loro fragilità) trovano nel cercare di costruire un legame con i propri figli e tutto ciò al di là dei “naturali contrasti generazionali”. Volevo sapere quale fosse stata la tua chiave di lettura e quale il tuo approccio nel “costruire” i protagonisti adulti del film?

Parto sempre dalla realtà, dall'incontro con persone reali, quindi i sentimenti e i caratteri in scena hanno avuto origine dall'esperienza di un essere umano. Nel caso del padre di Daphne interpretato da Valerio Mastandrea il sentimento principale è la paura della libertà, vissuta da un uomo che ha trascorso otto anni di reclusione, in contrasto con il desiderio di libertà della figlia, che chiede il suo aiuto per uscire.”

Il finale è un vero e proprio inno alla libertà. Secondo te quanto spazio c'è oggi per un messaggio di libertà all'interno delle nostre vite? E quanto il cinema possa concorrere alla costruzione di tale spazio?

Il finale lavora sulla percezione del tempo, che per un adolescente è differente, perché non è solo progressivo, cioè in funzione del futuro, ma è legato all'esperienza del momento, quindi il film finisce nell'attimo in cui i due protagonisti stanno finalmente vivendo il loro amore, in un'evasione che probabilmente terminerà presto, ma questo loro non lo sanno, non gli importa. Quindi nel mio film la mancanza di libertà coincide con la mancanza d'amore, e il raggiungimento della libertà con la realizzazione del sentimento.”

Ringraziando ancora Claudio Giovannesi per l'intervista vorrei infine chiudere il mio articolo su questo film e la sua “piccola” ma immensa ed immortale storia (immortale come sanno esserlo tutte le storie d'amore al di là della loro durata) citando Jacques Prévert e segnatamente con questa frase:I ragazzi che s’amano non ci sono per nessuno, sono altrove, ben più lontano della notte.”
 

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