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Fini? Nick Clegg in salsa italiana

Il mondo è sospeso nell’attesa che giovedì si riunisca il Gran Consiglio del Berlusconismo, dove Gianfranco Grandi Fini tenterà di portare il partito sulle sue posizioni, ma dove - è facilmente presumibile - il "traditore" sarà processato, condannato e gettato in pasto ai porci.

L’ex leader di AN è troppo navigato per essere arrivato dov’è arrivato con leggerezza o ingenuità: sa bene quella che è la posta in gioco e sa prevedere altrettanto bene quali possono essere le conseguenze del suo atto di ribellione. Ha già valutato quanto conta in termini numerici nell’attuale Parlamento, quant’è il suo "peso" politico, perché alla fine sono i numeri che contano: una cinquantina fra deputati e senatori fanno la differenza (ne avesse avuti Prodi così tanti a disposizione). E Fini sa anche, senza aspettare i sondaggi di Renato Mannheimer, quale potenziale ha alle sue spalle nel paese reale. Non sarà tutto il 30% degli astenuti, ma c’è una buona fetta di elettorato moderato, dentro e fuori il PdL, che si riconosce nella sua linea di una destra liberale, moderna, europea, attenta ai diritti ed ai doveri dei cittadini, che mai voterà a sinistra ma che ugualmente non sopporta il despotismo populista dell’uomo di Arcore né le rozzezze razziste di Bossi e camerati.

A differenza di Berlusconi il Presidente della Camera ha il senso dello Stato: sa dove porta la deriva leghista se lasciata pascolare impunemente, conosce i problemi della gente soprattutto in questo momento economico. Non a caso il filo diretto con il Quirinale non è mai stato così forte come adesso. Per questo - a discapito di tutte le voci che lo danno in codarda retromarcia - penso che Fini tenterà con tutti i mezzi di portare il suo co-partito sulla retta via, ma che, nel caso ogni sforzo risultasse vano, non si tirerà indietro per intraprendere una strada fuori da questa esperienza.

La situazione è molto fluida e potrebbe avere effetti impensati sull’intero Paese. Già qualcuno ha ipotizzato, senza ricorrere alla fantapolitica, una nuova aggregazione "liberale" tra Fini, Casini, Rutelli, autorevoli esponenti del PdL anche non finiani e rappresentanti del mondo economico. Tra questi è da tempo che si parla di Montezemolo, ma una sponda importante potrebbe trovarla anche in Confindustria, dove una Marcegaglia non è insensibile ad un programma di riforme reali quanto urgenti. Il suo modello potrebbero essere i liberaldemocratici di Nick Clegg, che i sondaggi oggi danno in testa su conservatori e Tories.

A medio termine l’ipotesi "lib-lab" inglese, che potrebbe essere tradotta in Italia con "lib-dem", è già stata intravista da D’Alema, subito tacitato dalla minoranza di Franceschini. Ma non è detto che nei progetti finiani sia così peregrina. Non è detto, infine, che in caso di rottura tra i cofondatori si vada per forza ad elezioni o a crisi di governo tout court: i nuovi gruppi, pur appoggiando dall’esterno il governo, potrebbero far passare (o non far passare) provvedimenti importanti, come la riforma della porcata elettorale. Aspettiamo.

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