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Filmografia italiana del 2016, alcuni percorsi. L’America (non) è lontana

Correva l'anno 1962 quando Marshall McLuhan nel suo libro “La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo tipografico” introduceva il concetto di “Villaggio globale”.

Quasi quarantacinque anni sono trascorsi e tale tesi ha di fatto innervato il nostro quotidiano con ripercussioni non sempre positive sulla vita degli abitanti del “villaggio” stesso.

Circostanziando e delimitando la sopracitata formulazione al solo ambito del cinema si potrà notare come è proprio una certa tendenza a guardare “fuori” dalla finestra che sta ad indicare un certo percorso intrapreso, perlomeno da una parte del cinema italiano contemporaneo.

Volendo fare una piccola analisi di alcune pellicole italiane viste nelle sale nel 2016 ho ritenuto utile questa premessa per continuare nell'articolo.

L'importanza di questa operazione del nostro cinema è quella sì di prendere coscienza dell'essere cittadini del “villaggio globale” salvo considerare però che la peculiarità di questa tendenza è quella di essere riuscita ad allargare il proprio sguardo senza smarrire la propria identità.

Volendo entrare nello specifico e prendendo in considerazione film come “Lo chiamavano Jeeg Robot”, “Veloce come il vento”, senza dimenticare “Il ragazzo invisibile” che due anni addietro inaugurò, per così dire, questa propensione si può notare come questi lavori siano opere che delineano una capacità di innovare e di non limitarsi ad un lavoro di mero copia e incolla.

Perché se è vero che tali film possono avere riferimenti diventati bandiera della Hollywood dei giorni nostri è altrettanto vero che filtrate con lo sguardo italiano alcune idee assumono uno stile del tutto nuovo ed originale.

Il nostro cinema in questo caso si confronta senza alcun timore referenziale, ma con la consapevolezza di poter aggiungere la propria specificità.

Così Gabriele Mainetti per “Lo chiamavano Jeeg Robot” crea un supereroe molto lontano dall'archetipo del paladino senza macchia; Claudio Santamaria dà corpo ad un personaggio che sembra più uscito dalla penna di Irvine Welsh che da quella di Stan Lee.

La scelta di Tor Bella Monaca poi come topos che identifica l'origine del protagonista in antitesi del topos classico dell'Arcadia riveste un ruolo importante che caratterizza una volontà di far luce su luoghi troppo spesso dimenticati ma estremamente centrali nella narrazione quotidiana del nuovo millennio ossia i luoghi di periferia.

Nella scelta della periferia romana si trova appunto un mondo tutt'altro che idilliaco, un mondo che è la rappresentazione plastica di tutte le periferie del mondo non solo quelle fisiche ma anche di quelle dell'animo.

Chi aveva in qualche modo, anticipato la strada di Mainetti era stato un paio di anni fa Gabriele Salvatores con la pellicola “Il ragazzo Invisibile”.

Questo film nonostante non sia uscito nell'ultimo anno ci consente di parlare anche di futuro visto che per il 2017 è prevista l'uscita del secondo capitolo della storia.

Il regista di “Mediterraneo” parlando di super poteri lo faceva portando la tematica all'interno di una storia per ragazzi; l'intreccio di ciò non solo generava un film di formazione ma creava un corto circuito nel panorama italiano che faceva luce sul significato della parola chiave dei nostri giorni e cioè la parola “crisi”.

L'etimologia di crisi sta a significare proprio questo “scelta”; e così oggi più che mai la tendenza deve essere quella di scegliere.

Per questo desiderio di discernimento Salvatores sfrutta l'ampio spettro di idee offerte dal genere fantascientifico rendendo Trieste già città chiave del novecento, città chiave del cinema italiano degli anni duemila.

Si potrebbe dire che “Il ragazzo invisibile” con il suo coraggio fanciullesco renda possibile l'avvento di “Jeeg Robot”.

Altro film del 2016 è “Veloce come il vento” Matteo Rovere si avvicina al mondo della gare automobilistiche non dimenticando il proprio lavoro svolto in precedenza e così come accadeva nel suo film antecedente “Gli sfiorati” il tema nodale è quello del rapporto fratello – sorella.

Verrebbe da dire che anche in film come “Fast & Furios” emergeva il concetto di “famiglia” (in quel caso quella criminale) ma la differenza dell'approccio di Rovere è che la velocità diventa il pretesto per parlare di qualcos'altro, che nel caso è appunto la difficoltà dei rapporti familiari e di una generazione di adulti – giovani e di giovani dovuti crescere troppo in fretta.

Questa è una delle grandi divergenze con il modello narrativo a stelle e strisce, e cioè quello di utilizzare la storia che sta alla base del racconto filmico per andare oltre, per portare lo spettatore in riflessioni che escono dallo schermo. Il non detto che muove in profondità nello storytelling tutto italiano è più forte di qualsiasi altra struttura narrativa.

Va ricordato che il cinema del nostro paese è davvero variegato e questi sono solo due esempi circoscritti di opere e di percorsi che non delineano naturalmente un quadro generale ma possono far intravedere una vastità d'orizzonti del panorama cinematografico nazionale.

Nella speranza che tutte le strade vengano battute dai nostri registi e sceneggiatori perché come diceva Einstein: “Continua a piantare i tuoi semi, perché non saprai mai quali cresceranno - forse lo faranno tutti.”

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