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Festival di Sanremo: trionfano i Maneskin

Sabato, si è conclusa la 71esima edizione del Festival di Sanremo che non poche polemiche e scalpore ha suscitato. D'altronde, non è Sanremo senza colpi di scena. E' quello che è avvenuto nella serata finale che ha visto trionfare, con grande disappunto e sconcerto, i Maneskin, un giovane gruppo di ragazzi sulla ventina d'anni. 

Quella dei Maneskin è da considerarsi come il trionfo del rock puro sul palco dell'Ariston, anche se, Sanremo, ci ha riservato ad altri clamori. È una vittoria che divide le fazioni del rinnovamento e dello scardinamento della solita canzone d'autore, classica, strappalacrime, dall'altro, si interpreta questo trionfo come "una presa in giro" in merito al concetto di canzone di cui Sanremo si fa portavoce da circa settant'anni. E poco importa se questo gruppo ha conseguito una vittoria alquanto discutibile, almeno secondo i miei gusti, è da considerarsi come un vantaggio per l'Eurovision, a cui questa band è chiamata ad onorare e tenere alta la bandiera in rappresentanza dell'Italia. Questo non è poco, se pensiamo che, negli ultimi anni, a vincere l'Eurovision sono stati brani poco improbabili e improponibili. 

Comunque, al bando le chiacchere, che hanno il tempo che trovano. Soffermiamoci sulla serata finale. Tanti gli ospiti e le sorprese che hanno tenuto banco in questa 71esima edizione. A partire dal clamore suscitato dai famosi quadri di Achille Lauro che non poco scalpore ha creato nella massa. Certo, questa è da considerarsi una delle tante lacune di cui Amadeus, per quanto possa essere un bravo conduttore e un esperto professionista, ne avrebbe potuto fare a meno, così come quella di Zlatan Ibrahimovic, di cui abbiamo avuto modo di dibattere negli articoli precedenti. Ma ritorniamo alla quinta serata. Ornella Vanoni è stata una delle tante ospiti attese dell'Ariston. Ha proposto un medley dei suoi più grandi successi. A suggellare la sua perfomance il nuovo singolo "Un sorriso dietro al pianto", accompagnata, per l'occasione, al pianoforte, da Francesco Gabbani, autore del pezzo. Un ritorno sul palco quello di Gabbani a Sanremo a distanza di un anno quando si piazzò secondo con "Viceversa". Il consueto intrattenimento di Fiorello con Amadeus, una delle tante note positive del Festival in generale, anche se, a volte, la ricorrenza di gag già viste e riviste potrebbero scadere nella monotonia e nella ripetitività.

Comunque, uno dei validi e piacevoli motivi che hanno animato questa tribolata e tormentata edizione di un Sanremo privo della sua colonna portante: il pubblico. Non è stato affatto semplice gestire, in piena emergenza, una situazione insolita a cui non eravamo abituati. Hanno fatto l'impossibile pur di imbastire un'edizione degna di nota in cui non si risentisse l'assenza degli spettatori nella platea. A parte questo, nella serata finale, ne abbiamo viste e sentite e non solo di musica. A parte il secondo posto conquistato dalla coppia Michielin - Fedez che tanto ha fatto clamore per via di una corsia preferenziale, vantaggiosa, messa a punto da Chiara Ferragni. Ha fatto scomodare il Codacons sulla possibilità di brogli per via del presunto favoritismo che la moglie del cantante abbia escogitato nella serata finale al momento del televoto. Il terzo posto, spetta a Ermal Meta, uno dei tanti favoriti da quando è approdata questa 71esima edizione. Non solo terzo posto, ma anche premi. Quello consegnato ai Colapesce Dimartino in una busta, come sostenuto da una loro dichiarazione al vetriolo (fosse stata l'unica). Possibile che non ci fosse il tempo di attriburglielo sul palco? Lo stesso pensiero espresso da Willy Peyote, autore, non solo del suo pezzo, ma di una querelle evitabile, con Ermal Meta e Francesco Renga. Ne ha avuti per tutti.

Era necessario imbastire questa polemica? Non tanto per il premio consegnato di nascosto da una della Rai in una busta, ma delle accuse infondate. Se ne poteva fare a meno. Non è stata una bella immagine di un personaggio che avrebbe dovuto far parlare di sé per il suo brano e non per la presunta arruffianata di Ermal Meta, reo di aver eseguito, nella serata delle cover, l'omaggio al grande Lucio Dalla con "Caruso" tra l'altro, con una coincidenza del tutto causale: la serata delle cover è capitata proprio in occasione del suo compleanno, 4 marzo, come recita una sua canzone di successo, eseguita dai Negramaro.

Del resto, che cosa c'è da dire? Che cosa rimane di questo Festival? Se pensiamo che Amadeus si era ostinato nel proporlo con il pubblico in sala, per poi convincersi dell'assenza. A margine della positività dei due membri dello staff di Irama al virus, questo avvalla ancora di più la possibilità che questo è stato il Festival dell'inutilità e delle imprevedibilità. Non parlo del bacio di Achille Lauro con il suo musicista, ma dell'eccessivo esibizionismo di un personaggio che, per esprimere le sue idee, si mette in mostra. Per quanto possa farsi portavoce di un suo modo di pensare, non era il contesto adatto sfoggiare e barattare il proprio corpo al servizio di una manifestazione che, da anni, cerca di intrattenere e di fare musica. Anche se questa parola sta venendo a mancare da molto tempo. Non è che con questo mio panegirico debba ergermi a persona nostalgica di Sanremo per la qualità che offriva. E che la musica, il vero centro motore e propulsore dell'Ariston, sta calando notevolmente. Prima di tutto, il motivo è da rintracciare nella commissione, presieduta dal direttore artistico Amadeus. Com'è possibile che, in una competizione, si possano ammettere delle banalità, condensate in urla e strepiti da quattro soldi?

Per l'anno prossimo, se fossi nei vertici Rai, assumerei una presa di posizione, mettendo in atto uno stravolgimento oculato, mirato alla centralità della musica, evitando scivoloni come il mancato omaggio che dovevano dedicare al compianto Stefano D'Orazio, il noto batterista dei Pooh. Immancabile e più che accettabile la polemica insorta dalla storica band sul mancato ricordo. Possibile che, in quei pochi scampoli di tempo, non si sia riusciti a trovare tre minuti per ricordare il musicista. Era previsto in programma. Amadeus e Fiorello dovevano eseguire "Uomini Soli", brano che ha trionfato al Festival nel 1990. Le ricorrenti pubblicità, le ospitate inutili e le gag da voltastomaco hanno fatto il resto.

D'altronde, da questo Festival, che cosa ci dovevamo aspettare? In questa edizione, rimangono le esibizioni di Loredana Berté che, con la sua grinta e determinazione, seppur con una vocalità decadente, segno dell'età, ma non del coraggio di misurarsi con un'esibizione di alti livelli, di gran lunga migliore di quella della Vanoni. Non sarebbe ora che questa artista ceda il posto ai giovani? Non che Loredana Bertè sia giovane, ma almeno, più di lei, riesce a tenere il palco. Per una come lei, animale da palcoscenico, non è stato affatto semplice esibirsi in uno scarno contesto che, nel 2018, l'aveva tributata con ovazioni per la sua partecipazione, con tanto di quarto posto, più che meritato. Non può reggere il confronto. Impareggiabile, sotto tutti i punti di vista. Generi e personalità diverse.

Da registrare la conduzione spigliata della giovane attrice Matilda De Angelis che, al contrario di quello che si diceva sulla sua inesperienza, si è dimostrata all'altezza della conduzione. Così come Elodie che ha commosso con il suo monologo finale. Emozionante il discorso che ha tenuto l'attrice Antonella Ferrari, in cui si è dimostrata più forte della malattia di cui soffre. "Io non sono la sclerosi. Io sono Antonella Ferrari", un messaggio arrivato ai presenti, a quei pochi che c'erano e a quelli da casa che, con la sua storia, si sono compenetrati con grande solidarietà. Bello il trio con Marcella Bella, Gigliola Cinquetti e Fausto Leali, così come quello di Riccardo Fogli, Paolo Vallesi e Michele Zarrillo, grandi rappresentanti della musica e vincitori delle passate edizioni del Festival, dove quella era tutta un'altra musica. Non che voglia sminuire, con questo messaggio, la qualità della musica di oggi. Ci mancherebbe. Massimo rispetto. Almeno quei pochi che ci sono, a parte i rapper, riescono a produrre della buona musica, non quella da far incaponire la pelle, ma comunque accettabile. 

Per l'anno prossimo, se volessimo ritornare ai Festival della vera musica, dove la musica deve essere la vera protagonista e non le pagliacciate, con tanto di lustrini, paillettes e inconsistenze sotto tanti punti di vista, si dovrebbe affidare la conduzione a un attore, un comico o a un parterre di donne, che dico: Milly Carlucci, capitanata al suo fianco da Sabrina Ferilli, Anna Valle, Serena Rossi, Virginia Raffaele o un Max Giusti, un Enrico Brignano, che sappiano intrattenere.

Anche se non dispiacerebbe se ci fosse il trionfo delle quote rosa, perché, a mio avviso, è giunto il momento di dare una ventata di novità e di dare maggior spazio alle donne. Sarebbe una bella idea. Da qui, si dovrebbe partire. Amadeus ha confermato in conferenza stampa che non avrebbe condotto per la terza volta. I vertici Rai insistono. Il conduttore sembrerebbe essersi convinto, a patto che ci sia un'idea. Non sarebbe ora che si dia spazio ad altri? Con tutto il rispetto di Amadeus e dello sforzo che ha fatto nel mandare avanti una discutibilissima edizione, si dovrebbe fare da parte. Non è che per assecondare le esigenze di Mamma Rai si debba chinare al cospetto. Il pubblico ha bisogno di vedere volti nuovi, intraprendenti, che sappiano condurre, riducendo le ospitate inutili, il cast degli artisti, come minimo a diciotto, e le pubblicità.

Per questo, il mancato ricordo di Stefano D'Orazio sta facendo discutere. Se era in programma, perché non hanno trovato cinque minuti scarsi? Quindi, alla luce di questo, è ora che la Rai si svegli e metti in atto questo cambiamento. Non è un caso che ci sia stato un notevole calo di ascolti. Meno ospiti, meno pubblicità, conduttori all'altezza e più qualità. Questa è la formula vincente se vogliamo far ritornare Sanremo allo splendore. 

 

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