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Festival “ANTOINE REICHA. MUSICISTA COSMOPOLITA E VISIONARIO”

Il Festival autunnale del Palazzetto Bru Zane si è concluso con due applauditi concerti

Esempio perfetto di una figura di transizione che non ha né rinnegato il passato, né ignorato il futuro, Antoine Reicha (o Antonin Rejcha, Praga 1770 – Parigi 1836) fece da tramite fra l’arte germanica e l’insegnamento musicale francese, restio tanto all’armonia beethoveniana, quanto alla cantabilità rossiniana.

Nel primo degli ultimi due concerti del festival, il quartetto d’archi Manderling ha eseguito il “Quintetto per clarinetto e archi in Si bemolle maggiore, op.89”, una fra le opere più spesso ascoltate di Reicha. E’ la dimostrazione del suo interesse per gli strumenti a fiato ai quali dedicò un numero considerevole di composizioni. Scrisse 24 Quintetti per fiati, dedicando a ciascun strumento (flauto, oboe, clarinetto, corno, fagotto) un Quintetto con accompagnamento di quartetto d’archi. Suddiviso in quattro movimenti – Allegro; Andante; Minuetto:allegro; Finale:allegretto –il quintetto fu composto verso il 1809, ma venne pubblicato soltanto nel 1820, con una dedica ad un notabile parigino, il signor Boscary de Villeplaine. L’abile scrittura clarinettistica, che ha messo a dura prova la tecnica di Laura Ruiz Ferrer, ha rivelato uno studio approfondito dello strumento da parte dell’Autore, il quale, pur ponendolo spesso in primo piano, ne favorisce il dialogo con il primo violino. Temi cantabili, melodici, pieni di energia, che si animano progressivamente, lasciando al solista una grande libertà, preludono ad un finale estremamente virtuosistico. Prima di Reicha, il solo Quartetto Manderling si è cimentato con il “Quartetto per archi n°7 in Sol minore op.9 n°1”(datato intorno al 1815), in quattro movimenti, di George Onslow (Clermont-Ferrand 1784-1853), una delle grandi figure del Romanticismo francese oggi dimenticate, alle quali in passato il Bru Zane aveva dedicato un festival. Una curiosità. Nel secondo movimento, l’andante religioso, Onslow, per rendere omaggio al nonno inglese scomparso nel 1814, esegue una versione dell’inno inglese (God save the Queen) con numerose variazioni.

Nell’ultimo concerto, il giovane Trio Medici – fondato a Parigi dalla violinista Vera Lopatina e dalla pianista Olga Kirpicheva nel 2013 e in cui si è bene inserito il violoncellista Adrien Bellom – ha eseguito il “Trio per violino, violoncello e pianoforte in Re minore op 101 n°2”, che fa parte dei “Sei grandi Trii concertanti per fortepiano, violino e violoncello op.101”(1824) ed è suddiviso in quattro movimenti : Allegro non troppo; Minuetto: Allegro; Andantino; Finale: Allegro assai. Nelle sue intenzioni c’è la volontà “di riunire i tre strumenti in modo da farne, per così dire, un tutt’uno, e da rendere il più possibile interessante, in tale unione, ciascuno di essi”. Quanto al pianoforte “deve spesso servire da accompagnamento sia al violino, sia al violoncello, sia ai due strumenti quando suonano insieme”. Agitato e veloce, il movimento finale mostra una varietà nel fraseggio del pianoforte, spesso all’unisono col violino, le dita fluide che sembrano impegnate in un “Can Can”. Il concerto si era aperto con il “Trio op.25 n°4 ‘Serenade’ in Re maggiore” (1862) di Henri Reber (Mulhouse 1807 – Parigi 1880), il quale aveva una predilezione per i generi intimistici, in cui emerge un lirismo, una malinconia ed un’eleganza che mettono le ali ad un’opera affascinante. Uno scroscio finale di applausi induce il Trio a ritornare più volte in pedana e a concedere un bis : l’Andante tratto dall’unico Trio per pianoforte composto da Claude Debussy.

Il Palazzetto si congeda, per l’anno in corso, dal suo affettuoso pubblico giovedì 30 novembre alle 20 con “I fiori malandrini”, canzoni licenziose da caffè concerto interpretate dalla soprano Norma Nahoun e dalla mezzosoprano Marie Gautrot, accompagnate dall’ensemble “I Giardini”, ossia David Violi al pianoforte e Pauline Buet al violoncello.

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