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Fare shopping per accrescere l’economia

Che la pratica del consumo sia divenuto il quasi tutto delle nostre istanze quotidiane sta sotto gli occhi di tutti. Basta dare un'occhiata in giro. Il consumo vettore di senso è il linguaggio che regola le nostre relazioni; finanché pasoliniana "ideologia".

C'è di più: l'acquisto, come pratica antistress, diagnosticata da psicologi à la page, apparenta il consumo ad un esercizio medicamentoso. Gli adepti del marketing rivendicano, con malcelato orgoglio, l'uguaglianza piacere-acquisto. Il consumo come generatore di significato viene autoritativamente rivendicato dall'industria pubblicitaria.

Anche di fronte all'indicibile dell'11 settembre si è trovato il modo di dire della pratica del consumo. "Andate a fare shopping", con i toni del pulpito, invoca Rudolph Giuliani ai reduci suoi concittadini: la liturgia dell'acquisto si colora di espressioni catartiche, che sembrano consegnare il consumare alla dimensione escatologica.

L'accorato richiamo di George W. Bush e del suo vice Dick Cheney: "Comprate, altrimenti i terroristi l'avranno vinta" mostra invece risorse sorprendenti, ovvero il consumo come pratica anti-terroristica.

La pratica del consumare come esercizio che genera la crescita economica - i 2/3 del Pil - è, in quest'ordine, solo l'ultima frontiera di approdo della nostra civiltà.

Eh già, se la dimensione del consumo finisce per governare tutti gli interstizi dell'esperienza umana, se da questo agire sembra ricavarsi il benessere del consorzio umano, non possiamo consentire che lo si eserciti facendo ricorso all'occasione, all'imperio del pressappoco, alla pratica dilettante.

Compito d'istituto mettere in campo un consumatore professionista spendibile sul mercato, che sia in grado di rivendicare ruolo, prerogative, responsabilità per l’ambiente, le cose e i senzienti e vivaddio, per cotanto esercizio, ristoro economico che, come si sa, non fa mai male: et voilà il Professional Consumer.

Altro che imbelle, Agente Economico!

 


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