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Facebook: condivido, ergo sum?

Essere sui social media, significa voler condividere tutto con tutti? Facebook sembra dare per scontato che sia così, e sta pensando di attivare un sistema automatico che condivida al posto nostro quello che ci piace

Essere sui social media, significa voler condividere tutto con tutti? Facebook sembra dare per scontato che sia così, e sta pensando di attivare un sistema automatico che condivida al posto nostro quello che ci piace. La nuova idea di Zuckerberg si chiama "frictionless sharing" ("condivisione senza attrito"): tutto quello che leggiamo, la musica che ascoltiamo, i video che guardiamo sarà condiviso con i nostri amici, senza bisogno di clicckare sul pulsantino "condividi". Senza il bisogno di scegliere di condividere.

L'obiettivo naturalmente è quello di rendere sempre più pervasiva la tracciabilità del comportamento degli utenti per poi sfruttare questi dati a fini commerciali.
 
In questo lungo e interessante articolo pubblicato qualche settimana fa sul nuovo magazine Lettura del Corriere.it, Evgeny Morozov si chiede se si stia profilando il rischio di indebolire la capacità critica delle persone, di annullare l'espressione di un giudizio consapevole e la possibilità di assegnare un valore diverso a quello che ci piace. In definitiva si chiede che fine farà la nostra identità e di conseguenza anche la nostra reputazione, perché in un un mondo in cui tutti mettono in comune tutto allo stesso modo, non ci si aspetterà più un giudizio personale su un determinato contenuto.
 
D'altro canto proprio nei giorni scorsi, secondo la Stampa britannica, la Commisione Europea stava lavorando ad un aggiornamento delle normative sulla privacy per impedire ai social network di vendere ai privati i dati di navigazione degli utenti a fini pubblicitari. Per il momento sembra quindi che a livello normativo si stia cercando di limitare la tracciabilità degli utenti, e questo lascia supporre che l'idea del "frictionless sharing" non avrà la strada spianata.
 
La preoccupazione sociologica di Morozov è tuttavia legittima, e forse già attualizzata più di quanto egli stesso delinei nel suo articolo. Gli strumenti per condividere sono diventati così onnipresenti che ormai condividere è diventato un gesto automatico. Detto questo però è anche importante non guardare tutto esclusivamente dalla lente dei Social Network.
 
(R)esistono ancora molti contesti in cui la condivisione non è un indicatore primario, almeno non nelle relazioni tra le persone. Ma il valore più importante è il confronto attorno ad un argomento, un'idea, un'esperienza, ma anche un prodotto o una marca. Nel web esistono tanti eco-sistemi che vivono indipendentemente dal tasto "mi piace" (pensiamo a tutti i forum frequentati ogni giorno da migliaia di persone che attivamente scelgono di discutere su un argomento che li appassiona) e all'interno dello stesso Facebook esistono infinite realtà in cui la produzione di contenuti e il confronto di opinioni sono l'elemento centrale, e condividere significa stimolare un'azione, fare qualcosa all'esterno di quel contesto. Pensiamo a tutte le iniziative sociali e le mobilitazioni nate in Rete, che hanno avuto un seguito nel mondo.
 
Possiamo quindi dire che il Web sia abbastanza grande e variegato per garantirci il diritto di essere, prima ancora di condividere?
Questo articolo è stato pubblicato qui

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