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Elezioni in Spagna: qualche spunto dal voto regionale e amministrativo

Che insegnamenti trarre dal voto spagnolo, evitando la tentazione di analisi semplicistiche? Tra fenomeno Podemos, partecipazione popolare e scelte delle formazioni storiche della sinistra di classe.

Le elezioni spagnole introducono dirompenti novità nella politica iberica, segnando il tracollo del bipartitismo che aveva caratterizzato il Paese dalla caduta del Franchismo: per questo meriterebbe analisi assai attente. Purtroppo è difficile racapezzarsi tra la disinformazione e mistificazione che pervadono i media mainstream e le affermazioni trionfalistiche e l'esaltato spirito di emulazione che dominano tra quelle frange della sinistra orfane della recente rottura con il partito di Renzi.

Prima di tutto, nei due risultati più significativi di questo turno elettorale, Madrid e Barcellona, Podemos non si è presentata, nella ragionevole decisione di non compromettere la propria ascesa in vista delle politiche di novembre con un voto locale in cui pesano maggiormente il radicamento territoriale diffuso e la fiducia nelle persone dei candidati. Tale movimento ha invece scelto di confluire e sostenere raggruppamenti della sinistra sociale e politica che già si erano formati nel conflitto reale e diffuso. Queste coalizioni mettevano insieme - intorno all'idea di una partecipazione diretta delle masse popolari - movimenti per la casa e indignados con i militanti del Partito Comunista Spagnolo e della Gioventù Comunista e, in maniera più differenziata secondo i territori, altri settori della storica coalizione delle sinistre (l'Izquierda Unida) e sigle locali della sinistra politica. Va detto che la sinistra radicale e comunista spagnola era stata in questi mesi attraversata da un veemente dibattito interno, sul modo di cogliere l'ondata di malcontento per le politiche liberiste e antipopolari portate avanti in questi anni dai due principali partiti, tra loro sempre più intercambiabili e sostituibili quantomeno nelle scelte economiche e sociali. La sua parte maggioritaria aveva poi deciso di non sottrarsi alla sfida della possibilità di un cambiamento epocale attraverso un rovesciamento dei rapporti di forza che può ben prodursi in un momento così fluido, confluendo in esperienze politiche orizzontali del volto radicale e plurale.

 Esempio di più eclatante successo di queste esperienze è Barcellona, in cui la lista rivelatasi trionfante ha saputo mettere insieme da Podemos all'Izquierda Unida, passando per i movimenti di lotta popolare, mettendo la questione nazionale catalana al margine del dibattito rispetto alla questione sociale. Il programma, oltre al rafforzamento dei diritti sociali e alla lotta alla repressione, era incentrato su una democrazia radicale e partecipativa volta a impedire che la politica si esaurisca in una mera delega passiva a rappresentanti spesso corrotti; nel mondo ispanofono, modelli importanti sono in tal senso le recenti esperienze di socialismo sudamericane. Personaggio carismatico e ora probabile prossimo sindaco della città è Ada Colau, esponente della Pah (movimento di lotta per la casa) di cui Giacomo Russo Spena forniva su Micromega un calzante ritratto: "Negli anni ‘90 si mobilita contro la prima Guerra del Golfo, poi frequenta i collettivi studenteschi dell’università di Barcellona, dove si laurea in Filosofia con una tesi su Simone de Beauvoir. Per lei anche una breve parentesi Erasmus a Milano che le permette di familiarizzare con l’italiano. Con il movimento No Global inizia la sua militanza a tempo pieno e, dopo il G8 di Genova 2001, si fa promotrice a Barcellona dei primi cortei pacifisti contro le guerre preventive di Bush. Quel popolo arcobaleno che il New York Times definì nel 2003 la seconda superpotenza al mondo, dopo gli Usa. Si definisce 'un’attivista dei diritti umani e della democrazia'. E' fronteggiando il dramma abitativo che diventa una leader di movimento conosciuta tanto da essere considerata dalle istituzioni 'un soggetto pericoloso'".

Una lista dai connotati assai simili raccoglie a Madrid il voto soprattutto giovanile e dei quartieri popolari e si pone per un soffio al secondo posto, ma probabilmente riuscirà, trattando da una posizione di forza con i socialisti confusi e sbaragliati, a esprimere Manuela Carmela, propria esponente, alla carica di primo cittadino madrileno. Liste analoghe sono arrivate prime o seconde anche nelle importanti città di La Coruna, Cadice e Saragozza.

Diverso scenario si manifesta invece alle elezioni regionali, dove Podemos, presentandosi da sola, in una scelta di "settarismo" criticata dalle sigle della sinistra di classe spagnola, supera sì i risultati delle europee, ma conferma anche i sondaggi delle ultime settimane che testimoniavano un calo di consensi del movimento rispetto alle rilevazioni dei mesi precedenti. Podemos si piazza nei casi migliori come terza forza, con una media del 10-12% e sempre nettamente sotto al Partito Socialista. Forse in parte un assestamento fisiologico, che però risente delle polemiche interne e di un cambiamento in senso "moderato" della linea politica che aveva recenemente portato alle dimissioni Juan Carlos Monedero, ideologo e cofondatore del movimento, in dissenso dalle scelte del leader Pablo Iglesias.

Quest'ultimo aveva infatto smussato le sue dichiarazioni pubbliche in senso "compatibilista" col sistema, non aveva chiuso a convergenze con le forze responsabili delle politiche antipopolari di questi anni, mentre aveva respinto l'idea di un'alleanza nazionale con le altre forze della sinistra di classe, riducendo anche gli spazi di democrazia e discussione interna. Probabilmente l'intenzione era, in vista di una presa del potere, di non spaventare troppo gruppi di pressione potenti nel Paese e di avvicinare al movimento a settori tradizionalmente più moderati dell'elettorato, delusi dal bipartitismo e su cui già la scelta fondativa di Podemos di porsi fuori dai tradizionali - e abusati - schemi di sinistra e destra poteva esercitare un ascendente.

Pertanto, a livello regionale, le liste di Podemos si sono presentate con una piattaforma più moderata e un carattere assai diverso dalle liste di unità popolare costruite nelle città: più politicista e meno partecipativo, più incentrato sul marketing e l'estetica della comunicazione, insomma meno permeabile al conflitto diffuso e più "grillino", per usare un paragone nostrano.

Risultato: rispetto alle aspettative, un flop. Un esempio per tutti: nel comune di Madrid la lista cittadina unitaria Ahora Madrid prende quasi il 32,%, mentre la lista di Podemos alle regionali non arriva al 18%. Insomma, ciò che emerge è che - come già in Grecia - in una fase di crisi economico-sociale e di imperversare (ancora) delle politiche di austerity, la radicalità nella proposta, l'alterità rispetto alle forze mainstream, l'idea di un'unità popolare contro il liberismo pagano, financo agli occhi di una classe media sempre più pauperizzata; i tentennamenti e le ambiguità sono invece penalizzati.

Podemos ne saprà trarre le logiche conseguenze, di qui a novembre? E le sinistre di classe sapranno mettere da parte ancora una volta particolarismi vari in vista di un progetto comune che alluda alla presa del potere con un programma di cambiamento radicale dello stato di cose presente? E le sinistre italiane riusciranno anch'esse a trarre dai fatti la giusta lezione?

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