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E il principe saudita comprò il 3.75% di Twitter

La società saudita Kingdom Holding, di proprietà del principe Walid bin Talal, nipote del re saudita Abdullah, ha acquistato una partecipazione in Twitter del valore di 300 milioni dollari (230 milioni di euro).

Le Figaro stima che questo investimento rappresenta il 3,75% del capitale del social network, arrivato dopo l'iniezione di 800 milioni di dollari da parte del gruppo russo DST Global. Secondo Semiocast, il principe considera questo accordo un dono per tutti i cittadini arabi.

Ogni giorno su Twitter compaiono fino a 2 milioni di tweet in arabo, volume che tuttavia rappresenta solo l'1% dei messaggi quotidiani sul sito. Sufficienti a ricoprire un ruolo importante nella mobilitazione sociale che da un anno sta facendo sussultare i Paesi arabi, Arabia Saudita comprea. Il principe Talal Bin ha numerosi investimenti nel campo dei media nel mondo arabo ed anche in quello occidentale (tra cui Citigroup e News Corp, quest'ultimo editore, tra le altre testate, del Wall Street Journal).

La rivista Forbes lo colloca al 26esimo posto tra gli uomini più ricchi del mondo; il Time lo considera il Warren Buffet arabo. Adesso si prepara a creare una nuova emittente panaraba per il 2012, in alternativa ad al-Jazeera e al-Arabiya. I giornali hanno parlato di lui più per le frivolezze (come l'Airbus 380 praticamente tramutato in palazzo itinerante) piuttosto che per l'accusa di stupro ai danni di una modella per cui è indagato ad Ibiza, o per la donazione di 10 milioni di dollari che l'allora sindaco di New York, Rudolph Giuliani, respinse all'indomani dell'11 settembre quando si scoprì che il principe Walid aveva contribuito a mobilitare il fondamentalismo.

Episodi che gettano un'ombra sulla sua figura, coì come sulle reali intenzioni dietro l'ingresso in Twitter. Non è chiaro se le azioni siano state acquistate sul mercato secondario o direttamente dalla società stessa - fa differenza: nel secondo caso l'acquisto presupporrebbe un accordo con la dirigenza che renderebbe più agevole la possibilità di influenzare Twitter.

La coincidenza tra l'operazione finanziaria e le proteste in corso nel regno saudita (in particolare a Qatif), in cui i social media stanno svolgendo un importante ruolo di aggregazione così come in tutti i sommovimenti in Medio Oriente nell'ultimo anno, è quanto meno sospetta. Mesi fa girò la voce dei fantomatici 150 miliardi che re Abdullah aveva offerto per acquistare Facebook e poi chiuderlo. Si trattava di una bufala, ma in tanti ci hanno creduto. Emblematico di quanto monarchi assoluti e attivisti in rete si temano reciprocamente.

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