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Dozza-Bologna: un carcere da demolire

Ancora una persona morta in carcere a Bologna: Adil Ammani, 31 anni

di di Vito Totire (*)

VOGLIAMO A BREVE UNA ISTRUTTORIA PUBBLICA COMUNALE SULLA DEMOLIZIONE DELLA DOZZA

Mattarella “ha detto qualcosa” sulle carceri. Intanto tal “commissione Ruotolo” incaricata dalla ministra Cartabbia ha elaborato una proposta. E numerosi osservatori , compresi i Garanti continuano a “osservare”. Però la situazione nelle prigioni diventa sempre più drammatica.

Forse per sincero senso di impotenza (o un tentativo inconscio di rendere la notizia meno dolorosa?) il quotidiano Resto del Carlino titola «trovato senza vita in carcere»; trovato… Non è una critica al giornale che meritoriamente ha dato al notizia mentre altri l’hanno ignorata.

MA OCCORRE TIRARE IL FRENO DI EMERGENZA E CONVOCARE URGENTEMENTE UNA UDIENZA CONOSCITIVA CITTADINA SUL CARCERE DI BOLOGNA.

Si tratta di una “istituzione totale” che le istituzioni pubbliche cercano di considerare e gestire come cosa loro impedendo l’accesso alle informazioni e esibendo un atteggiamento di autosufficienza foriera di inadeguatezza, inadempienza e violazione dei diritti.

Il carcere Dozza (lo denunciamo dal primo giorno di apertura, quando ci fu il trasferimento della popolazione detenuta da San Giovanni in Monte) è sempre stata una istituzione totale in cui si sono praticati trattamenti disumani e degradanti nei confronti delle persone recluse, con il corollario di gravi condizioni di sovraccarico e di distress per i lavoratori.

La gestione complessiva delle prigioni italiane costituisce il terreno di coltura che facilita la manifestazione della violenza, il rischio sanitario con la riduzione della speranza di salute e di vita per i reclusi ma anche (come abbiamo anticipato) per chi lavora lì. Questo terreno di coltura – la cui stessa esistenza si configura come violazione anche dei diritti costituzionali – ha portato alla strage del marzo 2020.

Alle istituzioni ripetiamo con Fabrizio De Andrè: «anche se vi credete assolti, siete per sempre coinvolti».

Una delle maggiori mistificazioni nella “narrazione” istituzionale (che persegue esplicitamente il tentativo di autoassoluzione) è porre sotto i riflettori il gesto autolesivo o violento oppre l’appetenza per le sostanze stupefacenti. Tentativo di mistificazione vecchio, ipocrita e sfacciato.

Nel corso delle jacqueries dei secoli scorsi (ma ancora frequenti in certe parti del mondo) i proletari e i servi della gleba assaltavano i forni. Oggi la storiografia “onesta”, a secoli di distanza, non imputa le jacqueries alla cattiveria dei poveri ma alla fame e alla miseria a cui i potenti li condannavano, dove miseria significava malattia e morte per denutrizione.

Oggi da Modena a Bologna come in tutte le altre sedi in cui si sono verificate le “rivolte” vediamo le istituzioni, in particolare quelle politiche e giudiziarie, cercare di ipnotizzare l’opinione pubblica, per deresponsabilizzarsi, enfatizzando l’assalto agli armadietti degli psicofarmaci.

Grave e infame ipocrisia !

E’ il carcere che ponendo le persone private della libertà in condizioni di disperazione crea, determina, enfatizza e cronicizza «la appetenza per i paradisi artificiali»; l’uso autolesionista delle sostanze è determinato dalla disperazione indotta da una gestione carceraria fondata sull’obbedienza assoluta, sull’umiliazione, sull’imposizione di trattamenti disumani e degradanti.

Di recente l’AIE (associazione italiana di epidemiologia) ha fatto un sondaggio tra i suoi aderenti e tra le persone che ricevono la newsletter della associazione, al fine di redigere proposte da portare al governo. Rispondendo a questo invito abbiamo inserito nella nostre proposte un invito ad avviare indagini sulla speranza di vita e di salute della popolazione detenuta; ed estremamente utile sarebbe un’indagine sull’uso e consumo di farmaci e psicofarmaci all’interno delle carceri. Siamo sicuri che emergerebbe un quadro significativo e drammatico. L’istituzione “carceraria” usa diffusamente gli psicofarmaci in quanto strumento di «contenzione» sia chimica che comportamentale. UNA STRATEGIA LUCIDA E CONSAPEVOLE CHE CRONICIZZA E PEGGIORA LE DIPENDENZE. Come accade all’apprendista stregone il sistema-carcere crea le condizioni per diventare vittima dei suoi stessi “rimedi” e si difende gridando al complotto.

Quanto al ricavare alcoolici in carcere dalla macerazione della frutta, siamo alla scoperta dell’acqua calda. Basta leggere «231 giorni» di Paolo Severi – un libro di 22 anni fa – tra i tanti: è il diario di una detenzione nel carcere di Modena. Siamo sempre lì: se il fascino dei paradisi artificiali è alimentato proprio dal regime carcerario bisogna smetterla di usare l’armadietto dei farmaci come “capro espiatorio” utile anche alla comoda chiusura delle indagini penali sui fatti del marzo 2020.

Senza neanche “scomodare” Thomas Sasz, il quale ricordava che il termine greco oi farmacoi indicava appunto i capri espiatori.

Allora l’ennesimo lutto che ha funestato la storia del carcere di Bologna, cioè la morte del giovane Adil Ammani («trovato senza vita») ripropone alcune scelte semplici e urgenti:

  1. Le carceri devono rispondere al dettato della Costituzione; non luoghi in cui si impongono trattamenti disumani e degradanti ma ambiti (non necessariamente fisici) in cui di possano realisticamente gestire percorsi di risocializzazione
  2. La Dozza di Bologna va chiusa e demolita
  3. La “presa in carico” delle persone con problemi di salute o di tossicodipendenza deve essere gestita con mezzi e strategie adeguate che facciano crescere l’autonomia delle persone e non le portino all’esasperazione e al peggioramento delle condizioni di dipendenza (le mitiche “comunità terapeutiche”)
  4. Non dipende da noi la nomina dei magistrati però non intendiamo tacere sulle posizioni assunte da chi invoca maggiori punizioni per i consumatori di “droghe”: così peggiora le possibilità di affrontare ragionevolmente le questioni e si va indietro; speriamo che queste posizioni saranno scosse alle fondamenta dal prossimo referendum sulla cannabis
  5. Il carcere – finché esisterà – dovrà essere una struttura trasparente: dobbiamo ancora una volta denunciare l’illegale impedimento nell’accesso a dati e informazioni di cui sono responsabili gli enti a cui ci siamo rivolti per ottenere copia dei rapporti relativi alle visite semestrali delle Ausl previste dalla riforma penitenziaria del 1975 (nel nostro caso: Bologna, Parma e Bari) e anche gli enti a cui ci siamo rivolti per prendere visione delle piantine del nuovo ed “evitabile” padiglione carcerario della Dozza
  6. RIPROPONIAMO LA CONVOCAZIONE DI UNA ISTRUTTORIA PUBBLICA SULLA DEMOLIZIONE DEL CARCERE DI BOLOGNA, già avanzata nel corso della consigliatura comunale precedente a quella in corso e che ha riscosso , all’epoca, il subtotale disinteresse della (autodichiarantesi) “sinistra”.

Volando più alto:

OCCORRE COSTRUIRE UN MOVIMENTO PER L’ABOLIZIONE DEL CARCERE , SULLE ORME DEL MOVIMENTO NATO NEGLI ANI SESSANTA DEL SECOLO SCORSO PER L’ABBATTIMENTO DEI MANICOMI.

BASTA CON IL CUSTODIALISMO, BASTA CON GLI OSPEDELI PSICHIATRICI E BASTA CON IL FILO SPINATO – quello che si vede nella foto è in via Terracini a Bologna – DELLE REMS (**) CHE non DOVREBBERO ESSERE LAGER.

PER UNA SOCIETA’ SENZA CARCERI.

(*) Vito Totire, portavoce della Rete europea per l’ecologia sociale

(**) Le REMS – residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza – ai sensi della legge 81/2014 sono strutture per accogliere persone affette da disturbi mentali che hanno commesso reati.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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