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Diminuiscono i Paesi con la pena di morte e aumentano le esecuzioni

Nei giorni scorsi è stato presentato il rapporto 2015 dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” sulla situazione della pena di morti nei diversi Paesi del mondo. Una valutazione emerge tra le altre: si è confermata nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015 la tendenza verso l’abolizione della pena di morte. Infatti i Paesi nei quali è ancora prevista la pena di morte sono scesi a 37 rispetto ai 39 del 2013. I Paesi o i territori che hanno deciso di abolire la pena di morte per legge o in pratica sono oggi 161.

Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 103. Gli abolizionisti per crimini ordinari sono 6 come quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni. I Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 46. Nel 2014, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 22, come nel 2013 e nel 2012, mentre erano stati 20 nel 2011, 22 nel 2010, 19 nel 2009 e 26 nel 2008.

Nel 2014, le esecuzioni sono state almeno 3.576, a fronte delle almeno 3.511 del 2013, delle almeno 3.967 del 2012, delle almeno 5.004 del 2011, delle almeno 5.946 del 2010, delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. Il lieve aumento delle esecuzioni nel 2014 rispetto al 2013 si giustifica con l’incremento registrato in Iran e in Arabia Saudita.

Nei primi sei mesi del 2015, almeno 2.229 esecuzioni sono state effettuate in 17 Paesi e territori. Un dato quest’ultimo che può indurre a ritenere che nell’intero anno 2015 potrebbe aumentare in misura abbastanza considerevole il numero delle esecuzioni, rispetto al 2014.

Negli Stati Uniti, nel maggio 2015 il Nebraska è diventato il diciannovesimo Stato della federazione ad abolire la pena di morte e il settimo a farlo negli ultimi otto anni. In altri quattro Stati – Washington, Colorado, Pennsylvania e Oregon – i Governatori hanno sospeso le esecuzioni a causa degli evidenti aspetti negativi che caratterizzano la pena di morte. Nel rapporto quindi si evidenziano alcuni risultati positivi ottenuti dallo schieramento, molto variegato, di quanti si impegnano da anni per abolire la pena di morte.

Ma non si possono trascurare anche gli elementi negativi, il primo dei quali è rappresentato dal fatto che il numero delle esecuzioni è rimasto elevato. Da notare che molte esecuzioni si sono verificate nell’Iran, un Paese nei confronti del quale, con l’accordo sul nucleare, si è modificato l’atteggiamento dell’Occidente.

A mio avviso, il raggiungimento dell’accordo è da valutare positivamente, ma devono, nel contempo, intensificarsi le pressioni, anche da parte dei governi occidentali, affinché in Iran, si pervenga quanto prima all’abolizione della pena di morte o almeno, fin dai prossimi mesi, a una forte riduzione del numero delle esecuzioni. E il governo italiano deve essere in prima linea in queste pressioni, tenendo conto che ambisce a divenire il primo Paese europeo nelle relazioni commerciali con l’Iran.

Tali considerazioni assumono ancora maggiore validità se si rileva che in Iran, l’elezione di Hassan Rouhani come presidente della Repubblica Islamica, salutata imprudentemente da molti osservatori come una svolta nel regime iraniano, non ha portato nulla di nuovo per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte, anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato.

Da quando Rouhani è entrato in carica nel giugno 2013, quasi 2.000 prigionieri sono stati giustiziati in Iran. Il 46% delle persone giustiziate nel 2014 è stato impiccato per casi relativi alla droga e questa percentuale è aumentata fino a raggiungere il 70% nel 2015, al 30 giugno.

(Foto: Luigi Ricca/Flickr)

 
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