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Dignità umana e carcere

Il 13 aprile si è tenuta presso la Sala Longoni di Barlassina la conferenza “Dignità umana e carcere”, a cura del Comune di Barlassina in collaborazione con Associazione Xapurì e Coordinamento Comasco per la Pace, all’interno del 9° ciclo di incontri per la promozione di una cultura di Pace e Legalità “Il Riconoscimento della Dignità Umana”. 

Il gruppo di Saronno di Amnesty International ha incontrato Susanna Ripamonti, Direttrice di “Carte Bollateil giornale periodico di informazione del carcere di Bollate, e alcuni detenuti dell’istituto, e ha avuto modo di illustrare al pubblico intervenuto le istanze di Amnesty International a favore di condizioni più dignitose nelle carceri e una maggiore trasparenza dell’operato delle forze di polizia. 

È stato un momento importante di confronto e raccordo tra enti locali, associazioni, istituzioni e cittadini. Il carcere di Bollate è da sempre apprezzato poiché – come noto – bilancia l’aspetto punitivo e quello rieducativo della pena, partendo dal recupero dell’identità del recluso attraverso un sistema di compartecipazione che lo vede protagonista delle scelte organizzative e delle attività: un atteggiamento che ha al centro una visione in cui il carcere si inserisce a pieno titolo nel tessuto sociale, divenendo luogo di rieducazione ed efficacia del trattamento, di riconciliazione. Ma sappiamo che non è sempre così, i casi Cucchi, Ferrulli, Aldovrandi, Uva, gli abusi durante il G8 e altri casi ancora lo testimoniano.

I diritti, anche quando sono scritti nella Costituzione – art. 27 comma 3 Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato – vanno difesi giorno per giorno. È un compito di vigilanza, di denuncia, di solidarietà con chi ha subito torti o abusi. Il più grave errore che si possa fare è pensare che tocchi a qualcun altro occuparsene, che ci siano soggetti a cui delegare l’onere di esigere il rispetto di ciò che è scritto sulla carta. Il cittadino informato e cosciente è il miglior custode possibile dei diritti. I tanti, troppi casi di suicidi, di malattie, di abuso di potere diretto o indiretto da parte di uomini dello Stato all’interno delle carceri dimostra che nessuna delega è possibile. 

L’educazione alla legalità e l’educazione ai diritti umani non sono due ambiti distanti tra loro. La prima si pone l’obiettivo di diffondere un’autentica cultura dei valori civili che consenta l’acquisizione di una nozione più profonda dei diritti di cittadinanza, l’altra vuole promuovere il rispetto universale e l’osservanza di tutti i diritti umani. Secondo i documenti prodotti dall’associazione Antigone, la situazione attuale nelle carceri italiane si caratterizza per uno stato di allarme riferibile a tre aree principali:

- le condizioni materiali e psicologiche di vita per le persone detenute;

- i livelli di stress e malessere nel quotidiano svolgimento dell’attività lavorativa per il personale di Polizia Penitenziaria;

- la scarsità di operatori e strumenti per intervenire sul piano del trattamento a fini socializzanti che la Costituzione italiana indica quale scopo prioritario del regime carcerario. 

Dal Rapporto Annuale di Amnesty International del 2006 sull’Italia:

Negli istituti di pena non è mutata la situazione di sovraffollamento cronico e insufficienza di personale, unita a un’alta incidenza di suicidi e atti di autolesionismo. Sono pervenute molte segnalazioni di condizioni sanitarie carenti e di assistenza medica inadeguata e non è diminuita l’incidenza di malattie infettive e problemi di salute mentale. Nel corso dell’anno sono proseguiti procedimenti penali nei confronti di un gran numero di membri del personale carcerario, relativi a maltrattamenti di singoli detenuti o, talvolta, di gruppi di reclusi. Alcuni processi si sono contraddistinti per gli eccessivi ritardi. Le accuse si riferivano a presunti abusi psicologici e fisici ai danni dei detenuti, in alcuni casi condotti in maniera sistematica e talvolta equivalenti a tortura”.                              

A gennaio la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti delle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Nella sentenza la Corte invita l’Italia a porre rimedio immediatamente al sovraffollamento carcerario. Allo stato attuale si contano 550 ricorsi. La situazione non è sfuggita al monitoraggio e alla valutazione di organismi internazionali e indipendenti. Il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura e il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa hanno avanzato istanze di intervento per risolvere il problema del sovraffollamento e dell’insufficienza di personale nelle carceri italiane. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha sollecitato un aumento degli sforzi per garantire che le denunce di maltrattamenti da parte di agenti dello Stato siano oggetto di indagine immediata e imparziale. 

Il carcere è un ambiente a rischio, per definizione. Si ospitano persone che hanno commesso reati e che spesso provengono da situazioni di svantaggio socio-culturale e socio-economico, a cui si aggiunge il peso della limitazione alle libertà personali, di movimento e dell’esercizio dell’affettività. Il ruolo della Polizia Penitenziaria è cruciale per la sua insostituibile funzione quotidiana di mediazione nell’ambito della struttura. Il personale tratta ogni giorno situazioni difficili, alle quali si aggiungono deficit strutturali: è essenziale che il personale sia formato per essere in grado di prevenire situazioni-limite e gestire pacificamente i conflitti con i detenuti. 

Abbiamo visto quali sono le aree critiche delle carceri, l’aspetto strutturale edilizio e di servizio, che andrà sanato con progetti specifici, è sicuramente l’urgenza. Ma la dignità e i diritti dei detenuti vengono violati anche dalle forze di polizia che vi lavorano. Per questo, dovendo individuare un obiettivo strategico sul quale porre l’attenzione, sicuramente appare necessario un intervento formativo rivolto al personale di Polizia Penitenziaria. Amnesty International dal 2003 ha proposto ad alcune strutture delle sperimentazioni formative, ad esempio l’ICATT di Lauro, Scuola nazionale per agenti di Polizia Penitenziaria di Aversa, Carcere femminile di Pozzuoli. È stata un’esperienza preziosa per individuare le aree che necessitano di un miglioramento, al fine di prevenire eventuali abusi e violazioni. 

Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in ogni Paese. Tra le loro responsabilità ci sono: prevenire il crimine, mantenere l’ordine, proteggere la popolazione. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, le forze di polizia devono tenere al centro della loro azione il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza del loro operato.Gli Stati devono vigilare sull’operato delle forze di polizia assicurando che esse agiscano nel rispetto degli standard internazionali. Sono obbligati a prevenire violazioni, ad assicurare indagini rapide e ad accertare le responsabilità. La società civile ha il compito di incoraggiare il rispetto dei diritti umani, e per far questo bisogna che abbia piena consapevolezza della realtà e della complessità dell’azione della polizia. 

La sicurezza è presupposto imprescindibile del godimento dei diritti umani (art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo). È difficile immaginare una società sicura senza che i diritti vengano messi al centro delle politiche di sicurezza. Eppure è accaduto e continua ad accadere che in nome della sicurezza collettiva i diritti vengano limitati, sospesi o annullati. Se non ci sono diritti umani senza sicurezza, non può esserci alcuna vera sicurezza se non fondata sul rispetto pieno dei diritti. Per garantire la sicurezza, la polizia può legittimamente restringere la libertà delle persone e far uso della forza e delle armi. La polizia è depositaria di poteri importanti che se esercitati indebitamente possono condurre a gravi violazioni dei diritti umani. L’uso delle armi deve rispettare i principi di legalità, necessità, proporzionalità e gradualità. Se ad esempio per procedere a un arresto nessuna forza è necessaria, allora non dovrà essere utilizzato alcun mezzo coercitivo.

Recentemente l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani per violazione del diritto alla vita in quanto il comportamento letale e imprudente di un ufficiale dello Stato italiano in occasione di un controllo effettuato su una tratta autostradale sarebbe da addebitare anche allo Stato, per la mancata adozione di normative specifiche sull’uso della forza e delle armi da fuoco contro le persone da parte delle forze di polizia. Non è sempre facile valutare, da parte degli agenti e funzionari, qual è il grado di forza che risulta proporzionato, per questo è importante una formazione adeguata e una solida esperienza. 

È importante che la forza di polizia sia costantemente sottoposta a supervisione e valutazione esterne, che la polizia stessa sia chiamata a rendere conto del proprio operato. Alcuni meccanismi di monitoraggio sono particolarmente importanti e trovano il loro fulcro nell’esistenza di istituzioni di controllo indipendenti, che hanno uno scopo anche preventivo, come per esempio il meccanismo di controllo dei luoghi di detenzione previsto dal Protocollo opzionale alla convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.

In Italia mancano strumenti per la prevenzione e la punizione degli abusi, come organismi di controllo sul rispetto dei diritti umani e sui luoghi di detenzione, misure di identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico e la previsione nel proprio ordinamento del reato di tortura, un impegno che l’Italia ha preso da circa 25 anni ma che non hai rispettato. Queste lacune hanno determinato nel tempo una sostanziale impunità degli agenti di polizia accusati di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani.

Annalisa D’Orazio 

NOTA Foto in Homepage dell’articolo è uno dei dipinti realizzati dai detenuti, che negli anni hanno dipinto i muri del Carcere di BollateIl gruppo di Saronno di Amnesty International ha incontrato Susanna Ripamonti, Direttrice di “Carte Bollate il giornale periodico di informazione del carcere di Bollate, e alcuni detenuti dell’istituto, e ha avuto modo di illustrare al pubblico intervenuto le istanze di Amnesty International a favore di condizioni più dignitose nelle carceri e una maggiore trasparenza dell’operato delle forze di polizia. 

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