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Diamo ai giornalisti il diretto accesso agli atti giudiziari pubblici

Diamo ai giornalisti il diretto accesso agli atti giudiziari pubblici

La legge in approvazione al Senato, nel momento in cui limita il diritto alla pubblicazione delle intercettazioni stabilendo che esse potranno apparire sulla stampa solo dopo il rinvio a giudizio, incide, limitandolo, sul diritto di cronaca e con ciò crea un vulnus ad un diritto costituzionalmente tutelato quale è la libertà di stampa prevista dall’ art. 21.
 
Nell’ambito poi del generale diritto di cronaca, ciò che viene limitata è soprattutto la cronaca giudiziaria; quest’ultima, nelle moderne democrazie occidentali rappresenta un ineludibile presidio di garanzia perché consente un controllo diffuso nei confronti dell’operato della magistratura e soprattutto permette ai cittadini di sapere chi sono i soggetti interessati dalle indagini giudiziarie e perché sono sottoposti a tale indagine.
 
Nel momento in cui i media non potranno più pubblicare le intercettazioni se non – come sopra detto - a distanza di molto tempo dai fatti, il diritto ad un’informazione giudiziaria completa ed esauriente sarà certamente limitato. La legge in discussione si prefigge il raggiungimento di un obiettivo certamente nobile e cioè la tutela della privacy, valore anch’esso di rilevanza costituzionale. La riservatezza che, però, è giusto tutelare è quella che riguarda soprattutto i soggetti estranei alle indagini, le cui conversazioni possono essere casualmente intercettate. Per costoro essere “sbattuti” su un giornale, raccontando eventualmente loro vicende private può essere un danno incommensurabile senza che nessun vantaggio vi sia per il diritto di cronaca, che in tali casi si trasforma in mero gossip.
 
In questi casi non vi è dubbio che l’esigenza della tutela delle privacy sia prevalente rispetto al diritto della pubblica opinione alla conoscenza delle attività giudiziarie. La legge, però, non distingue e finisce per limitare il diritto di cronaca anche nei confronti di quei soggetti per i quali l’interesse pubblico alla conoscenza delle vicende – anch’esso diritto costituzionalmente tutelato – che li riguardano avrebbe dovuto prevalere. Di fatto, quindi, si mettono sullo stesso piano la conoscenza delle vicende che riguardano i soggetti estranei al processo, per i quali è giusto che il diritto di cronaca venga limitato, con le notizie che riguardano soggetti inquisiti e protagonisti del procedimento penale, sulle quali il diritto di cronaca giudiziaria dovrebbe essere invece garantito.
 
Ed allora non sarebbe stata più corretta e rispettosa delle contrapposte esigenze in gioco l’idea paventata da più parti che fosse un giudice ad individuare quali siano le intercettazioni utilizzabili nel processo, limitando poi ad esse la pubblicabilità, e stabilendo, in questo caso a giusta ragione, anche sanzioni penali per l’inosservanza dei divieti?
 
Voglio concludere questa mia brevissima riflessione con una provocazione.
 
In molti commenti di uomini della politica e della cultura, utilizzati anche a sostegno della legge in discussione, si dice che bisogna spezzare questo circuito mediatico-giudiziario, ovvero il rapporto che esisterebbe tra alcuni operatori della giustizia (magistrati, avvocati, forze dell’ordine) con i giornali. Si tratterebbe di un sistema che consente di passare informazioni ed atti – anche ormai leciti e pubblici - alla stampa e che creerebbe un rapporto privilegiato fra gli operatori giudiziari medesimi ed i giornalisti, quest’ultimi dovendo essere grati ai primi per il “favore” fatto. 
 
Ma allora perché nella legge non si stabilisce direttamente un diritto di accesso alla stampa a tutti gli atti ovviamente pubblici dei processi?
 
I cronisti giudiziari – che come detto svolgono un lavoro di interesse pubblico – dovrebbero poter richiedere direttamente ed ufficialmente gli atti al giudice ed al p.m.; in tal modo si eliminerebbe a monte ogni sospetto di rapporto incestuoso, ne guadagnerebbe la libera informazione e, perché no? Anche il mondo giudiziario.

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