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Decreto Milleproroghe, il regime ammazza l’editoria più debole

L’esecutivo (im)pone la "fiducia" sul decreto cosiddetto "Milleproroghe". Ma dovrebbe chiamarsi "999 proroghe", visto che ne manca una quella che avrebbe dovuto prorogare i cosiddetti "contributi pubblici all’editoria" e salvare circa cento testate e 4000 lavoratori.

Decreto Milleproroghe, il regime ammazza l'editoria più debole

Ci sono provvedimenti e situazioni che vengono prorogati, riprorogati e ri-riprorogati sine die, come per esempio la permanenza (in ispregio ad una sentenza della Corte di Giustizia europea) di Rete4 sui canali analogici, oppure la decretazione antiterrorismo "Pisanu" (legge n 155/05), che limita fortemente lo sviluppo di internet in Italia.
 
Anche per il Viet Nam del XXI secolo, la guerra contro l’Afghanistan, i soldi sono sempre stati prontamente trovati dai vari esecutivi e le missioni votate, prorogate e persino ampliate.
 
Per contro gli 800 milioni che avrebbero dovuto essere recentemente destinati dal viceministro Paolo Romani alla banda larga, sono un bel giorno scomparsi.
 
Per la guerra i soldi si trovano. I soldi che non si "trovano" sono evidentemente altri.
 
Quelli per l’informazione, per esempio, specie se è l’informazione che sfugge al controllo del potere, alla faccia della retorica del "pluralismo dell’informazione". E ciò la dice lunga sulle reali priorità del potere, sulla sua agenda setting, naturalmente occulta, dissimulata dalla vulgata mediatica.
 
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Il decreto Milleproroghe, attualmente posto al vaglio del Senato è un caso paradigmatico.
 
La proroga ai tagli ai contributi all’editoria non sarà inserita in tale decreto, sul quale al Senato è stata posta la fiducia (e quindi più che di "vaglio" si dovrebbe parlare di "ratifica").
 
A rischio chiusura in italia un centinaio di testate, per lo più cooperative, no profit, organi di partito, anche se sulla carta il provvedimento interessa il quarto potere nel suo complesso.
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La responsabilità del taglio indiscriminato dei contributi all’editoria, è "merito" del decreto Tremonti n 112/2008, che ha soppresso il carattere di diritto soggettivo dei contributi pubblici all’editoria e ha stabilito che i fondi verranno erogati in base all’andamento dei conti dello stato e, aggiungeremmo, delle sue reali priorità politiche.
 
Come si può ben immaginare tale decreto colpirà le sue vittime in maniera molto differente.
 
Il Sole 24 Ore, per esempio, che pur essendo l’organo di Confindustria si intasca (coerentemente col suo credo liberista) 25 milioni di aiuti di stato all’anno, potrà fare facilmente a meno di tali regalie pubbliche, potendo contare sui soldi dei suoi ricchi padroni-editori.
 
Il Manifesto, al contrario, essendo una vera cooperativa dove tutti prendono 1500 euro al mese e dove non ci sono ricchi editori-padroni che possono elargire, sarà inesorabilmente condannato. A morte.
 
Giova ricordare che in Italia la raccolta pubblicitaria è priva di limiti settoriali e va per circa il 50% alla tv e il restante 50% se lo divide il resto della galassia mediatica.
 
In tale contesto i quotidiani stanno pesantemente perdendo quote di mercato (5,2% nel 2009, fonte FNSI) e introiti pubblicitari. Si stima che entro pochi anni un redattore ogni 5 perderà il lavoro.
 
Si può tranquillamente parlare di grave crisi dell’editoria.
 
In questa cornice il governo non ha voluto accogliere l’emendamento bipartisan di PD PDL e Lega che proponeva uno slittamento al 2012 per i tagli agli aiuti pubblici all’editoria, accompagnato dal varo di regole più rigorose nell’uso delle risorse pubbliche.
 
Non solo. Il governo, come sua abitudine, ha pure posto, e ciò va sottolineato, una vergognosa fiducia sul decreto in esame in queste ore, impedendo così ogni discussione e quindi umiliando la suprema assemblea e riducendola a parco buoi notarile dei desiderata del "capo".
 
Se, com’è sempre accaduto, tale fiducia sarà per l’ennesima volta supinamente accettata dai senatori, il Milleproroghe passerà poi alla Camera, magari pure in quella sede col ricatto della "fiducia", per essere definitivamente approvato entro il 28 febbraio e strangolare, coi suoi commi, quel che resta del cosiddetto pluralismo informativo di questo Paese ormai allo sbando.
 
Per i giornali non ci sono fondi, dice il regime berlusconiano.
 
Epperò.
 
Per finanziare i decoder per le tv del presidente del consiglio (decoder, sia detto per inciso, prodotti dal fratello del presidente del consiglio), quelle tv che permetteranno al Presidente del Consiglio di restare Presidente del Consiglio per altri vent’anni, i soldi sono stati trovati subito.... 
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Inutile dire che l’esecutivo si è preoccupato solo di fare cassa a spese dell’editoria senza avere presentato nessun tipo di riforma del settore, ammesso che tale riforma gli interessi. Ma non si tratta solo di cassa.
 
Gli aiuti diretti all’editoria ammontano a circa 170 milioni di euro, più i contributi indiretti come agevolazioni postali o acquisto carta, sino a raggiungere una cifra quasi quadruplicata, ma nel Paese dove si acquistano 130 aerei da combattimento (costo oltre 13 miliardi di euro) e dove ammazzare afghani in Afghanistan (per portargli la democrazia, naturalmente) ci costa 50 milioni al mese, che il governo dichiari di non trovare gli spiccioli per salvare più di cento testate non suona molto credibile. Anche perché in realtà gli aiuti all’editoria sarebbero coperti dalla Robin Tax sull’energia.
 
E poi si potrebbe cominciare cercando di razionalizzare gli aiuti pubblici, destinandoli a chi na ha realmente bisogno, come le piccole cooperative indipendenti a proprietà diffusa e non sversare milioni al Corriere della Sera, dominato dalle banche o al Foglio, editato (tramite il solito prestanome) da Berlusconi.
 
Evidentemente, come non nasconde qualcuno "non è un problema di risorse perché le risorse ci sono" (Butti, Pdl).
 
Si, le risorse ci sono, ma l’informazione, specie quella libera e contropotere dà fastidio al governo. E’ questo il punto.
 
Sin dai tempi più antichi il supremo crimine era insegnare allo schiavo a leggere e scrivere. E così è stato sempre. Il libero pensiero dei sottoposti è sempre stato, per chi comanda, una cosa da evitare. A qualunque prezzo.
 
E così è ancora oggi, anche se gli schiavi siamo noi, la gabbia sono i media e segnatamente la tv. Ma siccome siamo nati in mezzo a queste sbarre crediamo di non vederle, non le percepiamo. Ma non per questo non ci sono.
 
Per questo il potere ci regala i "suoi" decoder per le "sue" tv e finazia i "suoi" giornali.
 
Certo, i "contributi all’editoria" sono una vergogna (quasi) indiscriminatamente verasata ad ogni tipo di foglio venga stampato in Italia, come ad esempio "Il Riformista" che tira 2000 copie al giorno di quattro paginette e intasca annualmente due milioni di euro di soldi pubblici e sono in molti, compreso chi scrive, a pensare che tale sistema più del pluralismo permetta ingenti flussi di denaro pubblico a pubblicazioni fittizie, strumentali, puramente lucrative, che tradiscono lo spirito stesso di una legge giusta e necessaria. Ma non è la legge sbagliata, lo è il suo abuso, la sua perversione, il permettere che due deputati possano dire che il tal giornale è organo di un movimento politico per partecipare alla grande abbuffata. A spese del contribuente.
 
E non si può ignorare che, storicamente, sia in periodo repubblicano, sia nel ventennio, sia in epoca giolittiana lo stato si è sempre avvalso (prima di arrivare ai sequestri) delle più svariate forme di aiuto pubblico all’editoria, per poterla meglio controllare e gestire (beneficium accipere libertatem est vendere).
 
Il "lavaggio dei cervelli in libertà "(Chomsky) dei mainstream avviene principalmente grazie ai legami tra establishment e media.
 
In Italia, caso unico al mondo, il premier possiede la metà delle tv, controlla politicamente l’altra metà e tiene a libro paga governativo quelle (poche e piccole) testate che non contolla o non possiede. Ecco il motivo degli "aiuti pubblici all’editoria" oltre naturalmente all’arricchimento personale di taluni.
 
Epperò.
 
Tra le testate beneficiarie ce n’è una che è un’eccezione assoluta e che da sola meriterebbe che il Milleproroghe venisse bocciato: Il Manifesto.
 
So che molti non saranno daccordo e che troveranno paradossale che un giornale che si autodefinisce "comunista" possa essere libero e indipendente. Eppure è così. Basta leggerne una copia per rendersene conto. Inchieste, analisi, contesto, traduzioni e soprattutto il suo essere sempre contro il "palazzo", dalla parte della società civile e della sua parte più debole, ciò che dovrebbe essere il dovere di un giornale. In sintesi non un giornale dell’opposizione ma all’opposizione, sempre. Quotidiano comunista quindi negli ideali, non "del" partito comunista. E per fortuna.
 
Non voglio dire che Il Manifesto sia immune da critiche, ci mancherebbe altro. Di difetti ne ha e molti a cominciare dal sito internet che per anni è stato veramente scarso ed è migliorato solo recentemente.
 
Ma il suo mi sembra, nell’ambito della vergogna degli aiuti di stato all’editoria, il classico caso che ce ne mostrala loro utilità, certo riformandoli, (evitando di regalare milioni a giornali come Libero e Corriere della Sera), ma senza cancellarli, come il decreto Milleproroghe minaccia di fare.
 
La situazione di questo piccolo giornale nato da giovani comunisti "sovversivi" radiati dal PCI mi sembra la stessa che ci impone (imporrebbe) di preferire cento colpevoli a piede libero piuttosto che un innocente in galera.
 
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I mainstream e la maggior parte dell’editoria sono un sistema di lavaggio del cervello, quello che permette al regime di mantenere il simulacro del formalismo democratico, quello che permette di far eleggere alla massa catodicamente eterodiretta un partito nato da collusioni mafiose, quello che permette in Campania la "competizione elettorale" per la poltrona di governatore a due (presunti) delinquenti di cui per uno e’ stato chiesto l’arresto e per l’altro il rinvio a giudizio.
 
I mainstream e la maggior parte dell’editoria sono una truffa che, a parte poche eccezioni, non ha nulla a che vedere con l’informazione e che serve solo gli interessi degli inserzionisti, i veri padroni in redazione.
 
Forse è anche per questo che persino un popolo di bocca buona come quello italiano, amante di Grandi Fratelli, di Sanremo, di Amici, Tg1 e amenità del genere sta abbandonando sempre più la carta stampata.
 
Il press divide si accentua sempre più specie tra i livelli d’istruzione medio alti e non si capisce come potrebbe essere diversamente quando per gli stessi editori il quotidiano non è altro che una delle tante voci di bilancio, che deve fruttare soldi e non servire alla conoscenza.
 
Oggi gli editori, i veri e principali traditori del giornalismo, non sentono e forse nemmeno sanno cos’è la funzione civile e morale di un giornale, ma lo usano come clava nelle loro lotte baronali.
 
Forse si sta chiudendo un’epoca e domani i giornali, come li abbiamo conosciuti sino ad oggi, non esisteranno più. E forse, visto come hanno pervertito la loro funzione originaria di watchdog del potere ciò non sarà un male.
 
Non lo sappiamo.
 
Quello che sappiamo è che vorremmo che Il Manifesto e le realtà simili, dove la gente ci lavora, si sacrifica, lotta e, soprattutto, ci crede sinceramente, non fossero condannate a morte da un decreto Milleproroghe anzi, 999.
 
La parola, il logos, il pensiero libero, la critica sono tra le cose più importanti per l’individuo e per la società e sono ciò che dovrebbe essere un giornale. Sembra questo un traguardo irraggiungibile e forse e’ cosi’.
 
Per questo si resta attoniti e tristi nel vedere che il caparbio e incredibile sogno editoriale di un giornale come Il Manifesto, che fa del vero giornalismo in Italia, possa essere fatto fuori, nell’indifferenza dei più, da un miserabile decreto di un ancor più miserabile regime che sembra non temere nulla: né il ridicolo né la vergogna.
 
Eppure credo che, se per qualunque ragione, dovesse morire Il Manifesto, resteremmo tutti un po’ più poveri.
 

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.13) 12 febbraio 2010 12:34

    Quando si penalizzano i programmi di informazione "pollai televisivi" per dare spazio alle tribune politiche regionali (solo di quelle da rinnovare) lo scopo voluto è del tutto trasparente. Condizionare e manipolare la libertà di informazione. La storia insegna che la FEBBRE del Tribuno cerca in tutti i modi di imporre le proprie regole e interessi. La scienza ci dice che i neuroni "specchio" danno RIFLESSI e Riflessioni davvero inquietanti. (di più => http://forum.wineuropa.it

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