Cuba, dove la salute è un diritto
"Mi salud, mi derecho”. La mia salute, il mio diritto. Questo il tema con cui, quest’anno, Cuba ha celebrato l’anniversario n. 76 della fondazione dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms).
Un concetto semplice e vitale che, però, nei paesi capitalisti dove i diritti basici sono un “costo” subordinato agli imperativi del profitto, sta diventando una chimera. E d’altro canto, quando le cifre servono a confondere per far passare le idee dominanti, anche i dati che indicano quanto poco contino i diritti basici delle classi popolari, non hanno presa: ovvero non producono (ancora) quella rivolta popolare necessaria se ci si trova con le spalle al muro.
Niente sarà più come prima”, si sentiva ripetere come una litania durante i terribili giorni del Covid-19, quando la pandemia aveva definitivamente messo a nudo l’inefficienza del settore privato – a cui da anni si era spianato la strada -, nella cura delle persone. Eppure, nei paesi come l’Italia che considerano prioritario far pagare i costi della guerra imperialista ai settori popolari, le risorse investite nel settore sanitario sono irrisorie, se paragonate a quelle per le spese militari.
Ma sono quegli stessi governi antipopolari i più pronti a criticare il socialismo cubano quando non riesce a fare miracoli con quel poco che gli è consentito dal criminale bloqueo di cui i governi europei sono complici. Invece, Cuba dice, con l’esempio: “Medici e non bombe”. E non si tratta di un vuoto slogan, considerando che, mentre la metà della popolazione mondiale, pari a circa 4.500 milioni di persone, non ha coperture sociali e soffre di mancanza di cure mediche, la piccola isola, pur sotto assedio, ha mantenuto il diritto alla salute gratuita per tutta la sua popolazione.
Lo prescrive l’articolo 72 della Costituzione, approvata nel 2019, che dà allo Stato la responsabilità di garantire la salute come un diritto inalienabile. Il Sistema Sanitario Nazionale dispone di 286 ospedali, di cui 83 generali; 18 di ginecologia e ostetricia; 18 materni- infantili; 64 rurali; e 43 specializzati. Inoltre ci sono 197 case di cura; 67 residenze per anziani; 39 case per disabili; 289 case di accoglienza materna; 27 banche del sangue; 6 centri cardiaci; 10 centri di coordinamento dell’emergenza medica; 1.961 farmacie; 13 istituti di ricerca; 37 unità scientifiche e tecniche; 436 policlinici; 122 poliambulatori d’emergenza 14.434 ambulatori familiari; 166 cliniche odontoiatriche; 91 unità di terapia intensiva; e 32 istituti e facoltà mediche.
L’Oms, di cui Cuba è membro fondatore, ha ripetutamente riconosciuto l’apporto del personale sanitario cubano in vari paesi del mondo, compresa l’Italia, dove i suoi medici operano in alcune regioni dall’anno della pandemia. Anche qui le cifre parlano chiaro: più di 605.698 operatori sanitari hanno collaborato in 165 paesi del mondo.
Per oltre sessant’anni, i medici cubani hanno partecipato a importanti operazioni internazionali, applicando il Programma Sanitario Integrale dopo il passaggio degli uragani George e Mitch attraverso l’America Centrale; la Missione Speciale del Venezuela; il Programma Barrio Adentro (Dentro il quartiere); l’Operazione Miracolo, che ha restituito la vista a più di tre milioni di persone in 35 paesi in America e in Africa; la creazione, nel 2005, del Contingente Internazionale di Medici Specializzati “Henry Reeve” per far fronte ai disastri e alle gravi epidemie; la lotta contro l’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale; l’aiuto per affrontare la pandemia di Covid-19 con 58 brigate in 42 paesi; e l’attuale presenza di oltre 22mila collaboratori in 57 paesi di tutti i continenti.
Tutti questi risultati non sarebbero stati possibili senza la visione del Comandante in Capo Fidel Castro il quale, in un evento presso la Scuola Latinoamericana di Medicina nel dicembre 2002, disse: “Siamo un piccolo paese, ma questo piccolo paese è stato in grado di dimostrare quanto si può fare se si vuole, quanto si può fare se le risorse umane di un paese sono ben utilizzate… Oggi, questo piccolo paese è indispensabile se vogliamo combattere vere battaglie contro le malattie che minacciano la scomparsa di intere nazioni o addirittura di intere regioni di alcuni continenti”.
Chiunque si rechi a Cuba può ancora constatarlo, così come fece, nel 1967, il saggista Jose Yglesias. Nato in Florida nel 1919, ma di origine cubana, il viaggiatore descrisse la sua esperienza nel libro “Indagine su un villaggio cubano”, pubblicato in Italia da Il Saggiatore, nel 1968. Illuminante il reportage intitolato “Pratica di medicina” in cui Jose descrive la visita a un ospedale periferico cubano dell’epoca (Martiri di Mayarí) e il sistema sanitario che lo muove.
Il dottor Morales, che ha rinunciato ai privilegi che gli offriva la sua appartenenza di classe per riconoscersi come un medico comunista, così si rivolge al visitatore statunitense: “Lo sai cosa dico in definitiva a tutti gli amici e i parenti cubani che partono per venire nel tuo paese? Dopo aver discusso questo e quello senza arrivare a niente, gli dico: Non ti interessa questo processo affascinante? Come puoi andartene invece di star qui a seguire questi sviluppi straordinari?”
Non ti interessa difendere la possibilità di un mondo diverso?, chiederebbe il dottor Morales oggi. “Cuba – disse Fidel il 13 marzo del 1967 – può essere ritenuta responsabile solo di una cosa: di aver fatto una rivoluzione e di volerla portare avanti fino alle ultime conseguenze”.
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