• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Crotone: quando la forza del mondo eravamo noi

Crotone: quando la forza del mondo eravamo noi

Nella notte dello scorso primo maggio, su RaiTre, nel programma “Fuori orario-Cose mai viste” è andato in onda un film in bianco e nero davvero mai visto, seppure prodotto dalla televisione di stato medesima. Il titolo del film è “E nua ca simu a forza du mundu”, (noi che siamo la forza del mondo) realizzato da Anna Lajolo, Guido Lombardi e Alfredo Leopardi per quella tipologia di produzioni che la Rai definiva sperimentali. Quella pellicola risale al 1971 ed è ispirata alla morte sul lavoro, in un cantiere edile di Guidonia, di Giovanni Corigliano, un muratore crotonese emigrato in provincia di Roma per mantenere moglie e sette figli in tenera età.

A Crotone, Giovanni Corigliano, aveva lasciato i suoi dieci fratelli e sua madre vedova. Da quel tragico episodio di morte bianca gli autori di “E nua ca simu a forza du mundu” intraprendono un percorso a ritroso incontrando e intervistando, tra la provincia di Roma e Crotone, parenti e amici dell’edile deceduto sulla realtà delle condizioni lavorative e occupazionali al Sud. Ne viene fuori, naturalmente, un quadro drammatico. Eppure saltano agli occhi, dalle parole degli intervistati, delle anomalie storiche tra la realtà dell’epoca che riguardavano segnatamente Crotone e le sue situazioni socio-economiche e quelle del resto della Calabria, terra di migranti, miseria e fame per antonomasia.

Persino i volti, l’abbigliamento e l’esprimersi degli intervistati mettono in risalto delle vistose differenze con il modello tipico che si diffondeva in quegli anni del calabrese povero, disoccupato e poco istruito. Oggi, alla vigilia di una importante competizione elettorale che vede schierata una pletora di aspiranti sindaco che parlano del futuro della città e delle idee per il suo rilancio, nel rivedere quel film in bianco e nero del 1971, ci sarebbe da dire, una volta per tutte, che il futuro ce lo siamo lasciati abbondantemente alle spalle. Ma questa è un’altra storia. 

La parte centrale del film, è realizzata sull’arenile della completamente scomparsa “spiaggia delle forche” gli autori intervistano due operai delle fabbriche. E’ soltanto uno di loro a parlare, l’altro suggerisce delle risposte, dei particolari della vita in fabbrica, tra la Montedison e la Pertusola, oppure annuisce. Ciò mentre la cinepresa inquadra lo scenario costituito dall’oleodotto su tralicci che costeggiava la spiaggia e che collegava il porto con gli stabilimenti; il braccio di mare un tempo conosciuto come “spiaggia vecchia” e, per finire, i capannoni e le ciminiere delle fabbriche. Davvero cose “mai viste” per coloro che hanno meno di cinquanta anni, ma che pure erano il tratto distintivo di Crotone. Laddove si pensi che in quel tratto di mare i due complessi industriali dell’epoca riversavano i loro miasmi, c’era la spiaggia dove i poveri piantavano l’ombrellone per fare il bagno nonché la riserva privilegiata di pesca dei bombaroli, conosciuti al secolo come “pescatori di frodo” che traevano da quelle acque colore inchiostro cassette di pesce da vendere.

La lunga intervista all’operaio delle fabbriche, che è il nucleo centrale del film, è montata con pochissime immagini della città che ritraggono, soprattutto, un quartiere “Fondo Gesù” pressoché intonso per quanto emblematico di una qualunque realtà industriale che potrebbe essere quella del Nord, laddove sorgevano agglomerati urbani destinati a ospitare la classe operaia. Cose mai viste, oppure semplicemente mutate nel tempo, degradate, vetuste, se si vuole, e addirittura scomparse, cancellate dalla memoria collettiva, ma sicuramente esistite. Così come sono esistiti quei tremila operai cui fa continuo riferimento l’operaio intervistato nel film. Ne parla come di una realtà acquisita, di una certezza destinata a durare nel tempo e che per questo vive, allineandosi perfettamente con l’orizzonte della grande questione operaia, le stesse problematiche di una qualunque altra area industrializzata del Nord.

Il film “E nua ca simu a forza du mundu”cè dunque un viaggio verso quel futuro che Crotone si è lasciato alle spalle. Loro, gli operai, erano davvero la forza del mondo, anche di questo piccolo mondo antico che è stato Crotone ed i cui ruderi sono un caleidoscopio di ferraglia arrugginita e moderni capannoni vuoti come le orbite di un teschio. Il riuso, la riprogrammazione della città e soprattutto delle aree dimesse e presumibilmente ammorbate, è, ad oggi come un ronzare di api intorno a fiori deprivati del polline a causa degli elementi atmosferici non propizi e dalla noncuranza di un agglomerato umano che non ha mai voluto imparare a vivere in stormi per affrontare meglio la vita. Ancora più straziante è dunque l’idea, dopo aver visto quel film dedicato alla ex realtà industriale crotonese, che si possa rimettere in moto l’economia rinchiudendo gli immigrati in quegli scatoloni vuoti che sorgono lungo i due versanti dell’area di sviluppo industriale. In questo caso, il futuro è qualcosa a cui rinunciare seriamente, qualora esso potrebbe essere un ritorno al passato più remoto: quello delle schiavitù, della “Capanna dello Zio Tom” , tanto per intenderci.

 

Antonella Policastrese

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità