• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > Crollo Barletta: la testimonianza di un volontario della protezione (...)

Crollo Barletta: la testimonianza di un volontario della protezione civile

Proponiamo la testimonianza di un volontario della Protezione Civile tra i primi ad arrivare sul luogo del crollo del palazzo a Barletta

Asso di quadri

Cronaca di un nera giornata preannunciata

Quello che rimane di una giornata fra le macerie è l’immagine di un quadro raffigurante una madonna e dei due crocifissi posti sul suo lato sinistro e destro. Uno più piccolo, l’altro grande, ancora attaccati come per miracolo sul muro dello stabile di via Roma a Barletta. Un miracolo non c’è stato però per le cinque vittime accertate causate dal crollo di uno stabile in cui vi era anche un laboratorio tomaificio e dove hanno perso la vita quattro donne e una ragazzina che aveva di fronte a sé ancora un’intera vita da vivere, gioie e amori, viaggi e programmi per il futuro o semplicemente la spensieratezza di una normale vita da adolescente vissuta giorno per giorno.

 Tutti i corpi sono stati estratti dalle macerie in prossimità della porta d’uscita come se stessero scappando, come se avessero avvisato il pericolo. Forse uno scricchiolio, forse il crollo di alcuni pezzi d’intonaco che preavvisavano la tragedia. Questo non è dato saperlo, non potremo mai sapere quanta paura è fluita nelle vene delle persone schiacciate da due piani di tufi e travi di legno negli istanti prima del crollo. Quel che ormai invece appare essere una quasi sicurezza sono i momenti che hanno caratterizzato le giornate precedenti alla tragedia.

 Sono fra le macerie e qualcuno parla, denuncia ad alta voce che era stato interpellato un ingegnere venerdì perché si sentivano scricchiolii ed erano visibili grosse crepe nello stabile di via Roma, forse a seguito di alcuni lavori edili adiacenti allo stabile. Ne parla con rabbia e con sofferenza quell’uomo che fianco a me toglie le macerie fra la polvere e la puzza di gas. Dice anche di aver assistito personalmente ad un accesa discussione fra un ingegnere e chi denunciava crepe e rumori, dice anche che nel pomeriggio un impresario edile è arrivato sul posto minacciando che avrebbe fatto espropriare lo stabile se le lamentele fossero continuate. E allora perché non chiedersi come mai ciò’ non sia stato fatto, quali interessi possono ruotare attorno ad una palazzina che sta per crollare?

 Arriva un uomo verso le ore 16.30. Riesce a superare le transenne. Probabilmente è un parente di qualche operaia del tomaificio. Grida con astio ed energia. Arriva finalmente il Prefetto e riesce a dare un ordine a quello che ai miei occhi si era presentato come un’orda disordinata di vigili del fuoco, esercito, volontari e cittadini ammassati per cercar di dare una mano. Quei cittadini Barlettani con i loro jeans e con le loro magliette, qualcuno con il casco da cantiere, altri a mani nude. Volevano scavare e spostare detriti per arrivare al più’ presto ad una mano, ad una gamba, al suono labile di una voce sotterrata. E invece no, non è stato così. Si decide di scavare dai lati che danno sulle due strade dell’edificio fantasma. Lo si fa piano, con delicatezza e sotto l’occhio attento del SAF (Soccorso Alpino Vigili del Fuoco) che con coraggio decidono di rischiare la propria vita scavandosi piccoli cunicoli fra le tonnellate di tufi e calcinacci, travi di ferro e mobili. Si sentono le motoseghe, lavorano con responsabilità quei Vigili del Fuoco, sanno cosa devono fare per raggiungere le vittime e per cercare di ridurre al massimo il rischio di perdere le loro vite.

 Poi qualcosa non mi quadra. Vedo ruspe e due escavatori piccoli muoversi fra le macerie nelle vicinanze dei due cunicoli scavati. C’è’ puzza di gas e rimprovero ad alta voce un macchinista di una ruspa per aver acceso una sigaretta. Perché io, perché non un dirigente dei Vigili del Fuoco o uno dei numerosi addetti di pubblica sicurezza? Si comincia a scavare a mano anche sul fronte interno e due vigili del fuoco cominciano a calarsi giù’ con le corde da un muro. Hanno con loro sonde e microfoni per captare ogni minimo rumore, quelli impercettibili all’ udito umano. I cani del gruppo cinofilo soccorso sono pronti, aspettano solo un comando per mettere a disposizione il loro fiuto. Si lavora e piccole colline di detriti cominciano a formarsi. Ci sono pezzi di mobili, DVD, televisori sventrati, macchine da tomaificio, vestiti, scarpe, oggetti di vita quotidiana. Io raggolgo fra la polvere una carta da gioco, un asso di quadri. Non è un feticista modo d’accumulare oggetti, è solo il ricordo di una giornata di cui dovrò far oro come esperienza, una giornata che ancora una volta ha sentito l’odore di morte e il lamento raccapricciante di chi ancora vive e che ha perso persone care.

 Torniamo con la nostra auto medica, siamo partiti in cinque, cinque volontari della Protezione Civile. Quattro avevano già avuto esperienze a San Giuliano e all’Aquila…io no. E nel silenzio che avvolge l’abitacolo dell’auto sento l’esigenza di chiedere loro se le procedure di soccorso siano state eseguite alla lettera. Quell’escavatore, quello che pesava decine di quintali non sarebbe dovuto essere sul cumulo di macerie così come anche i due più piccoli che hanno operato sull’uscio dei due cunicoli. Non avrebbero dovuto nemmeno essere manovrati da civili che normalmente operano per costruire o demolire quando non si tenta di salvare vite umane. Maria ha parlato ad alta voce per ben tre volte, io ho sentito la sua voce per ben tre volte. Poi l’hanno estratta dalla sua tomba nel suo silenzio.

 Applaudivano quando si estraevano gli altri corpi ma un vigile del fuoco in quel momento ha gridato di far silenzio e di non applaudire quando Maria veniva caricata in velocità’ sull’ambulanza. Chissà se Maria avrebbe potuto continuare a parlare se quell’escavatore non fosse stato lì, chissà se avrebbe potuto continuare a sognare e a vivere una vita di sogni se le videocamere e la necessità di pochi che erano poi tanti, molti, troppi, di voler essere protagonisti come in un reality show, non avessero intralciato i soccorsi. Chissà. A me dal bar della rabbia, rimangono solo molti dubbi, un bicchiere da sorseggiare con parsimonia per non dimenticare cercando di alleviare la mia tristezza e un asso di quadri posto sul tavolo da cui sto scrivendo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares