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 Home page > Tribuna Libera > Credere nella rieducazione: mito progressista o credenza reazionaria?

Credere nella rieducazione: mito progressista o credenza reazionaria?

La Grande Chambre della Corte Europa ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’Italia per ‘tutelare’ l’ergastolo ostativo: un po' come dire che è pacifico, che non occorre ‘rimettere la testa’, sulla legittimità della pena a vita.

Un articolo de “Il Fatto Quotidiano” ha riportato le parole di Niccola Gratteri, secondo il quale “ i mafiosi tireranno un bel sospiro di sollievo. É passata l’idea che puoi commettere qualunque crimine, anche il più abietto, poi alla fine esci di galera. Un principio devastante che non possiamo permetterci di accettare: cancellerebbe 150 anni di legislazione antimafia. Per motivi culturali, ma anche pratici, viste le conseguenze che avrebbe non solo in Italia. Ma in tutta Europa”. Una pronuncia, insomma, che piace “ a chi si spaccia per progressista e garantista per interessi inconfessabili o anche soltanto per seguire la moda. A chi racconta che un sistema legislativo come quello antimafia italiano che rende non conveniente delinquere, non è progressista”.
 
Leggere queste parole induce innumerevoli riflessioni in chi scrive ri(con)ducibili, purtuttavia, a poche parole. Ci si chiede: È veramente progressista il pensiero di chi invoca una pena ossequiosa – non solo formalmente – del principio rieducativo di tutte le pene, enunciato in una ‘carta’ entrata in vigore nel 1948?
 
Se è vero, come pare, che le pene possano – molto modestamente – ambire unicamente ad una “tensione rieducativa” (frutto di non poche diatribe in assemblea costituente) “ cui prodest” una punizione ontologicamente non-rieducativa?
 
Forse abbiamo sbagliato tutto…forse non capiamo certe dinamiche dell’antimafia e della criminalità organizzata. Concedeteci, però, una piccola chiosa. Se la rieducazione non può orientare la nostra “scala dei valori giuridica” ditelo apertamente: proponete una modifica dell’art. 27 della Cost.: diversamente, a mio modestissimo ed insignificante parere, la questione è assodata. “ Ça va sans dire”. Mi chiedo, però, e qui mi taccio: chi è il vero progressista?
 
Chi vede nel ristretto un moderno Miché, condannato a suonare una tragica ballata “ l’avevan perciò condannato vent’anni in prigione a marcir…però adesso che lui s’è impiccato la porta gli devon aprir…” o chi chiede che le pene, tutte le pene, debbano tendere alla rieducazione del condannato?
 
DANIEL MONNI PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE LIBERARSI ODV
Foto: Pixabay

Commenti all'articolo

  • Di Osvaldo Duilio Rossi (---.---.---.203) 14 ottobre 2019 16:39
    Osvaldo Duilio Rossi

    Michel Foucault (Sorvegliare e punire: nascita della prigione) ha spiegato ampiamente come lo scopo del carcere non sia rieducare, ma controllare, di pari passo ad altre istituzioni modellate sull’istituto della confessione cattolica (come la scuola, l’ospedale, ecc.).

    Oggi il dibattito gravita attorno ai collaboratori di giustizia, una delle tante declinazioni della confessione, e va da sé che la scelta della Corte europea di negare l’assioma confessione=premiazione disturbi chi è cresciuto in un regime educativo basato sulla partizione tra primi della classe e somari, tipico italiano (e leggetevi La scuola cattolica di Albinati, se ve lo siete perso).

    Ma ciò non esclude che le istituzioni punitive abbiano lo scopo di recuperare la devianza (termine sociologico di Merton), di riformarla, cioè di darle una forma riconducibile alla norma.

    La prendo larga: nella gestione dei conflitti aziendali, dove rileviamo una devianza evidente dal ruolo e dagli scopi istituzionali, sappiamo che è necessario (ri)formare le risorse umane a regolare il conflitto, a negoziare le soluzioni e a comunicare efficacemente. Ma in Italia l’idea non piace affatto, benché funzioni, perché siamo abituati proprio a "sorvegliare e punire", cioè a manifestare il potere, anziché a risolvere i problemi.

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